Come sanno ormai tutti, e il “tutti” comprende anche chi non lo guarda e sostanzialmente se ne frega, lunedì scorso c’è stata l’ultima puntata dell’ultima stagione del Trono di Spade. Indipercuiperciò, da una settimana sui media e sui social e nei bar impazza un dibattito filosofico-esegetico su preferenze, soddisfazioni, riflessioni, interpretazioni. Dibattito che in soldoni, e giusto per essere un po’ terra terra, si potrebbe riassumere in a. “fine demmerda no” o b. “fine demmerda si”.Tertium non datur.

Allora. A dire il vero, qualche avvisaglia c’era già stata. Il malumore dei fan si era manifestato già alla fine della puntata 3, quella dello scontro epico tra l’armata dei “Terminator morti viventi pseudo-cannibali” (cit. https://ilnazionale.net/wp-admin/post.php?post=23616&action=edit, in cui avevi già espresso qualche perplessità relativa alla riconsiderazione dell’ordinaria spartizione ideologica tra buoni e cattivi) e l’armata dei vivi, entrambe comprensive di draghi sputafuoco che assicurano gli effetti speciali. Il dibattito si era successivamente acceso a mano a mano che alcuni tra i personaggi più o meno amati dagli uni o dagli altri – e qui il pezzo comincia ad essere difficoltoso, visto che devi evitare lo spoiler – crepavano secondo criteri più o meno illogici e un filo incomprensibili, per poi esplodere con l’ultima puntata, dividendo i fan tra opzione a. e opzione b.

Opzione a. I partigiani della pseudo-democrazia sono felici. Si lanciano in sperequazioni sulla simbologia della fine del trono lui lui, cioè il trono fisico, sull’originalità di un finale che sbaraglia tutte le previsioni, sulla dimensione moralmente corretta dello stesso – le storie e la libertà sembrano più importanti della forza e del potere e se sbagli la paghi, e pure cara, sia che tu sia perennemente una carogna risputata dall’inferno o che tu sia uno/a che globalmente sembra pure decente ma a cui qualche volta è partito l’embolo con conseguenze pesantucce –, sull’apertura a una parvenza di saggezza e democrazia a detrimento della forza bruta in questa specie di Medioevo di finzione. Insomma, tenendo conto delle contingenze, il consiglio finale dei 7 regni di Westeros sembra più democratico di un consiglio dei ministri contemporaneo. Certo se tradisci ti giustiziano e il popolo non vota. Però una costituzione da rispettare non c’è, le regole sono brutali ma chiare per tutti e applicate da soldati che sicuro non vanno per il sottile ma che insomma fanno i soldati invece che andare in giro a togliere striscioni, sequestrare cellulari e pestare giornalisti – il tutto anche perché striscioni, cellulari e giornalisti non esistevano, il che conta. Insomma, da un certo punto di vista ‘sta fine è il non plus ultradel politically correct, visto che vincono ma senza stravincere e un po’ Battisti style (“io vorrei non vorrei ma se vuoi”) i rappresentanti delle categorie protette – e qui nessuno ti può accusare di spoiler perché in lizza ci sono, in ordine sparso, varie quote rosa, qualche (pochi) tizio più scuretto di pelle, un paio di gay e lesbiche, un nano, uno storpio, un morto vivente e parecchi bastardi. Insomma di tutto un po’, non manca quasi nulla. 

Opzione b. Gli altri, quelli meno filosofici relativamente ad una serie dove sostanzialmente tutti hanno massacrato tutti senza tanti riguardi o cerimonie, sono scontenti. Cioè. Quote di sangue, morti, distruzioni e effetti speciali ci sono state, eccome. Però la fine salomonica a loro sta un po’ sul gozzo. In primis, ognuno di questi tifava per una casata o per l’altra – in genere, arrivati a questo punto, o per la tizia albina che si sente Che Guevara o per il bastardo nordico che poi alla fine non è nordico che si sente Che Guevara –, e si sa che in queste cose è come con il calcio. Indipendentemente dalle ragioni o dalla bravura delle squadre in campo, è meglio se la squadra che vince è la tua. E se stravince alla grande, e non solo Battisti style, è ancora “più meglio” (cit.). In secundis niente, al massimo qualche stortura di naso per un eccesso di politically correct (cfr. supra): al netto di tutti i grandi princìpi, la delusione deriva soprattutto dal fatto che non ha vinto la tua squadra. E allora giù di sperequazioni sulle contraddizioni degli sceneggiatori, sulle illogicità e aporie della trama, sull’incomprensibilità di alcune evoluzioni un po’ troppo rapide – in effetti ‘ste sei puntate finali, che durano comunque circa 1h20 ciascuna tipo filmone epico, dipanano tutto abbastanza velocemente.

E allora, giusto per restare in linea e far finta di essere democratici, anche tu ti lanci in un esercizio salomonico, che potremmo definire “cerchiobottista” se non fosse che considerarlo “GOT style” (cioè cerchiobottista) risulta più chic. Anche se fatichi ad ammetterlo, tu sei del partito b. Però vuoi cerchiobottare e allora chiudi con il rimando alle tavole di Zerocalcare, che ammette di essere del partito a. pur sottolineando le aporie dell’ultima stagione come fanno quelli del partito b. Quindi è (quasi) perfetto – quasi perché occhio allo spoiler –, oltre ad essere comunque un figo, una su tutte: “L’unica cosa sensata della serie la fa un drago che non sa neanche esprimersi in un italiano corretto”.

E niente, vince lui: https://www.wired.it/play/televisione/2019/05/21/game-of-thrones-punti-controversi-zerocalcare/

Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, Commedia.Inferno, Canto I