Siamo nel 1840, il Carnevale veronese è al suo massimo fulgore. Il merito va al conte Giovanni Girolamo Orti Manara, letterato e politico, che dal 1838 fino al 1850 fu podestà di Verona. Quando prese l’incarico di governare la città, decise che era giunto il momento di far rinascere il tanto amato Carnevale, ormai decaduto per una serie di motivi – probabilmente legati a fattori economici – , e ripristinare la tradizionale festa del Venerdì Gnocolar con la sfilata dei carri. All’epoca i carri erano allestiti dalle componenti economiche della città: c’era il carro dei pescivendoli, quello dei formaggiai, quello dei pollivendoli e così via. Durante il percorso, dai carri venivano lanciati prodotti o buoni per l’acquisto. Insomma era una vera propria cuccagna, chissà se si prendevano per i capelli per accaparrarsi una caciotta o un pollo… Il più importante di tutti era il carro dell’abbondanza: trainato da quattro buoi, distribuiva vino e generi alimentari; a seguire c’era quello degli gnocchi conditi con burro e formaggio. I finanziamenti per questa grande festa derivavano dai dazi dello olive e delle castagne. In quell’epoca le sfilate riscuotevano grande fama e venivano realizzati dei disegni particolareggiati per ricordare l’evento.
Ma il Carnevale veronese ha tradizioni molto più antiche. Si deve addirittura fare un salto di trecento anni e andare nella prima metà del 1500. La tradizione, all’epoca, vedeva i Sanzenatti, gli abitanti del rione di San Zeno, recarsi in Piazza dei Signori portando vino, pane e farina. Erano capitanati dal capo dei Macaroni, un Papà del Gnoco ante litteram, che con il suo asino saliva gli scalini del Palazzo del Governo per invitare le autorità. Poi, tutti assieme facevano in piazza il Giro del bogon, chiamato così perché il corteo si muoveva in cerchi concentrici a formare la tipica chiocciola della lumaca. Quindi si recavano tutti in una grande sfilata a San Zeno – precorrendo presumibilmente Piazza Erbe, Porta Borsari, Corso Cavour e le Regaste –. Lì era allestito un palco in cui si mangiavano i “macaroni”, ovvero gli gnocchi, preparati solo con farina e acqua – non erano ancora giunte le patate delle Americhe – e conditi con formaggio e burro. Venivano invitati anche dodici poveri del rione a mangiare seduti attorno alla grande tavola di pietra, attualmente visibile, tra la Basilica di San Zeno e la Chiesa di San Procolo.
A proposito di San Procolo… Nel fianco della chiesa è custodito il busto di Tommaso da Vico. Il medico filantropo, assieme alla sua corte di 24 cavalieri, apriva il corteo dei Sanzenatti. Il Carnevale omaggiava così questo benefattore, morto nel 1531. Nello stesso anno, prima della sua dipartita, da Vico riuscì, infatti, a placare la popolazione pronta a insorgere: a seguito di carestie e inondazioni dell’Adige i veronesi erano affamati e inferociti contro i fornai che si rifiutavano di vendere il pane a prezzi calmierati, e lui venne incaricato dalle autorità per distribuire alla popolazione cibo e bevande. Questo evento si trasformò in quello che oggi è il Venerdì Gnocolar.
La leggenda vuole che nel testamento del medico vi fosse proprio la disposizione di celebrare ogni anno la giornata del cibo gratis. In realtà, nel documento ufficiale di Tommaso da Vico – conservato negli Archivi di Stato di Verona – non v’è traccia di tutto ciò. Carta canta, villan dorme? No, se carta non canta, ma aiuta il popolo, va bene tutto e buoni gnocchi a tutti.