Negli ultimi vent’anni, la percezione del fumetto nel mondo e, in misura minore, nel nostro Paese ha fatto passi da gigante. Un tempo, se leggevi fumetti eri un nerd brufoloso, che perdeva il suo tempo a fantasticare su eroi coi mutandoni anziché lavorare. Oggi i fumetti sono mainstream, sono entrati in libreria sotto forma di volumi cartonati di grandi dimensioni e costosetti. Vent’anni fa entravi in fumetteria e se spendevi 50mila lire voleva dire che: 1. avevi uno stipendio e 2. compravi roba per tutto il mese seguente. Oggi se spendi 50 euro vuol dire che hai portato a casa due, massimo tre, volumi.

Il fumetto, insomma, non è più una nicchia, forte anche del successo dei cinecomics Marvel e non. In Italia, certo, un po’ di resistenza e di snobismo culturale sono rimasti: li devi chiamare graphic novel e non fumetti, anche quando graphic novel non sono. Una graphic novel è un romanzo grafico, è una storia contenuta con ben precisi intenti e formati. Tipo quella che Mauro Marchesi ha presentato al circolo culturale La Sobilla un paio di sere fa.

Mauro Marchesi è un illustratore e fumettista veronese attivo ormai da più di vent’anni. Ha lavorato e lavora per Mondadori, ha realizzato una storia di Lupin III per Kappa Edizioni, nonché la serie breve Hollywood Bau (una storia è persino dipinta su un grattacielo a Hong Kong) e il web-comic Area Pioppa 51. Il suo ultimo lavoro (edito in Italia da Magic Press) è Phil K. – Una vita da Philip K. Dick, biografia a fumetti dell’autore di Blade Runner, Atto di forza, A Scanner Darkly e Minority Report, o meglio dei romanzi e racconti che hanno ispirato questi ultimi.

Scritta da Laurent Queyssi, questa graphic novel ci dice un’altra cosa interessante su come sia cambiato il mondo dei fumetti. La pratica di realizzare biografie a fumetti è sempre più diffusa, indice del fatto che ormai si riconosce alle strisce disegnate un’unicità artistica che permette di dire cose diverse rispetto a letteratura e cinema, e dirle in modi originali. Di fatto, realizzare un fumetto è un po’ come fare un film avendo a disposizione un budget infinito per creare da zero tutte le location che vuoi, e assumere qualunque star ti aggradi, compresi personaggi realmente esistiti e morti da tempo.

Come Philip K. Dick, appunto, le cui malsane abitudini (assumeva anfetamine con il solo scopo di star sveglio e lavorare di più per pagare le bollette) lo hanno condotto a una morte prematura a 53 anni, nel 1982. Traduzione: pochi mesi prima che uscisse Blade Runner, il film che gli avrebbe cambiato la vita, trasformandolo da scrittore di genere sottopagato e costantemente in bolletta ad autore riconosciuto e, forse, anche ricco grazie ai diritti cinematografici.

Dick è l’emblema stesso dell’artista tormentato, diventato davvero famoso dopo la morte. Di questo parla molto Marchesi durante la presentazione, perché la sensazione di insicurezza è qualcosa che attanaglia moltissimi autori. Non necessariamente al livello estremo di Dick, che aveva seri problemi di autostima, che l’uso di droghe certamente non lo aiutava a mitigare. Ma rigettare quello che hai fatto anche pochi mesi prima è normale per un disegnatore. «Quando finisco un albo per me è finito, chiuso, e non lo voglio più vedere» confessa Marchesi, dicendo di non aver mai sfogliato Phil K.

Nel corso della presentazione l’autore ha parlato in dettaglio del processo creativo che porta alla realizzazione di un progetto come questo. Lo stile semplice e pop potrebbe ingannare: non è una facile soluzione per risparmiare tempo, ma il frutto di precise scelte autoriali ed editoriali. Marchesi ci mostra, infatti, come con Queyssi intendesse puntare su uno stile molto più realistico e “sporco”, con colori in bicromia. Ci spiega come sia stato l’editore a chiedere un deciso cambio di rotta e abbia, infine, consigliato una colorazione più classica.

Phil K. è un fumetto estremamente documentato. Queyssi, appassionato ed esperto di Dick, ha intervistato persone vicine all’autore, viaggiato in California per osservare i luoghi in cui Dick ha vissuto e lavorato, e scoperto dettagli che non tutti conoscono. Da parte sua, Marchesi ci rivela come un grande aiuto glielo abbia fornito Google Maps. «Sono stato molto soddisfatto quando un fanatico francese di Dick ha deciso di fare una ricerca per verificare che tutti i luoghi fossero fedeli alla realtà, e ha detto che non ho sbagliato praticamente nulla. Tranne la facciata di un hotel che non sono assolutamente riuscito a trovare.»

A colpire è anche l’espressività dei volti che l’autore disegna. Con pochi tocchi è in grado di cogliere alla perfezione un sentimento, arrivando spesso a commuovere per la tristezza nello sguardo del suo protagonista. Anche questi sono dettagli all’apparenza insignificanti, ma che invece sono molto complessi da realizzare e spesso si perdono nel tipo di lettura veloce a cui il fumetto ci invita, e che è anche uno dei suoi punti di forza.

Storielle buffe per ragazzi? Narrativa di serie B? Pensatela come vi pare. Ma ricordate una cosa: lo dicevano anche dei romanzi di Philip K. Dick.