Fino qualche anno fa lì guardavamo con la faccia un po’ così: «Che tipi questi pazzi che se ne vanno per boschi con gli sci ai piedi e la carabina in spalla…!». Non riuscendo a varcare i confini della curiosa simpatia per uno sport oggettivamente bellissimo, ma con poco appeal sul nostro territorio al di là di qualche enclave (le meraviglie della valle di Anterselva ne sono la culla), fino a qualche settimana fa la maggior parte degli italiani seguiva il biathlon nella più ottimistica delle ipotesi con anonimo distacco, eccezion fatta per i consueti e stucchevoli strappi alla regola in occasione degli appuntamenti olimpici.

Siamo da sempre un paese avvezzo a surfare sulle onde emotive di un nazionalismo magari più popolano che popolare. Ecco allora che se un paio di tizi della bocciofila di Darfo Boario – non ce ne vogliano – vincessero alle olimpiadi sventolando un tricolore, di colpo troveremmo senza remore lo slancio necessario per assurgerli ad icone osannandoli con titoli a quattro colonne sulle prime pagine dei quotidiani sportivi. Poco importa li dovessimo poi riconsegnare all’oblio per un altro quadriennio. È l’amaro destino usa-e-getta dei cosiddetti sport minori: parola tanto odiosa quanto eloquente in un paese così provinciale e controverso come il nostro.

Dalla sua prima apparizione olimpica ai giochi di Squaw Valley del 1960 ad oggi, dal binomio sci-carabina sulla neve sono arrivate cinque medaglie di bronzo (la prima in assoluto la conquistò Johann Passler nella 20 km individuale a Calgary nel 1988; le ultime due, lo scorso anno in Corea grazie a Dominik Windisch  nella sprint e la staffetta mista) e una d’argento (Pieralberto Carrara  nuovamente nella 20 km individuale a Nagano nel 1998), ma mai una d’oro. Dorothea Wierer e Lisa Vittozzi stanno ora scrivendo una storia tutta nuova: questa sembra essere la stagione dell’esame di maturità del biathlon italiano, l’occasione quindi per uno sdoganamento mediatico e la definitiva affermazione in termini di popolarità abbandonando le riserve indiane. Eurosport copre e trasmette con puntualità e competenza da tempo. Non pervengono al momento cenni di risveglio dalla Rai: l’assenza della nostra tv pubblica all’unica tappa italiana della coppa del mondo, ha fatto parecchio rumore.

Eppure, mai in passato era successo che due atlete italiane (maschi compresi) sbaragliassero il campo con tale impressionante regolarità a tal punto da occupare le prime due posizioni della classifica generale di coppa del mondo. Da sempre il biathlon è terreno di caccia per tedeschi (prima della riunificazione, era un vanto della DDR), scandinavi (leggendario il norvegese Bjorndalen) e paesi dell’ex blocco sovietico. Aggiungiamoci i francesi, che in Martin Fourcade hanno pescato un fuoriclasse capace di vincere praticamente tutto nell’ultimo decennio.

Per anni noi italiani siamo rimasti ai margini, incapaci di dare continuità a qualche singolo exploit, scucirci l’etichetta di Underdogs e creare i presupposti per lo sviluppo di un movimento solido e credibile. Dorothea Wierer e Lisa Vittozzi non solo stanno spezzando quest’inerzia, ma stanno aprendo il varco su uno scenario tutto nuovo. Che le lancette del barometro convergano sul bello, lo abbiamo visto lo scorso weekend ad Anterselva, in occasione della tappa di coppa del mondo. Da sempre feudo massiccio della tifoseria tedesca, mai si erano viste sventolare tante bandiere italiane come quest’anno. Nemmeno di fronte alla prima storica vittoria azzurra nello stadio di casa (che il prossimo anno ospiterà i mondiali) firmata da Lukas Hofer cinque anni fa avevamo assistito a tanto.

L’arrivo a braccia alzate di Dorothea Wierer è stato un trionfo nel tripudio dello stadio («La mia più bella vittoria» ha detto). Il terzo posto di Lisa Vittozzi ha completato il quadro. Alla faccia dei soliti mettizizzania l’altoatesina e la sappadina sono sì rivali, ma amiche, ciascuna col proprio carattere: leonina ed estroversa Dorothea, timida e schiva Lisa. Il comune denominatore, l’unico fattore che cattura il nostro interesse, sta nella rapidità e la precisione al momento di premere il grilletto al poligono di tiro, oltre che nella scorrevolezza sugli sci. E così ci fanno sognare.

La strada per la coppa del mondo è ancora molto lunga: alla fine mancano le due tappe nordamericane in Canada e Usa, e il gran finale di marzo nel sacrario di Holmenkollen a Oslo: in mezzo i mondiali in Svezia. La concorrenza è al solito agguerrita e non fa sconti. Di sicuro non sarà una passeggiata, ma è innegabile che non siamo mai stati così bene. Vedremo poi che ne sarà. Comunque andrà a finire, un risultato queste due ragazze lo hanno tuttavia già portato al di qua del Brennero: grazie a loro gli italiani stanno scoprendo la bellezza di uno sport come il biathlon. Il futuro parte da qui. Prima o poi anche i dormiglioni di Saxa Rubra si desteranno dal letargo e se ne accorgeranno. E scusate se è poco…