Sarebbe ingiusto definire il regista-sceneggiatore Adam McKay come “un Michael Moore con i soldi” anche se, mentre scorrono le immagini sul grande schermo di Vice – L’uomo nell’ombra, è impossibile non pensarci almeno una volta.

La storia artistica di questo autore cinquantenne, ormai osannato da tutti quegli attori che amano far parte di progetti importanti sia per il Cinema che per il proprio Paese, parte in realtà da quella fucina di talenti chiamata Saturday Night Live, probabilmente il programma comico più seminale della Storia della Televisione; da quello al cinema ci sono voluti solo quattro anni e, nel 2004, giunge sul grande schermo con il film Anchorman – La leggenda di Ron Burgundy insieme al suo attore feticcio Steve Carell e a Will Ferrell (produttore, insieme a Brad Pitt, anche di questa sua ultima fatica). Una dopo l’altra si susseguono innocenti, ma non per forza insulse, commedie che conoscono una certa gloria prevalentemente negli Stati Uniti, come Fratellastri a 40 anni, I poliziotti di riserva e il seguito del suo debutto, ovvero Achorman 2 – Fotti la notizia. Poi la svolta: con La grande scommessa, film di denuncia del 2015 che racconta del crack finanziario legato al mondo immobiliare americano, raggiunge in un battibaleno lo status di Autore (sì, proprio quello con la “A” maiuscola”); il suo stile ironico, spesso dissacrante, originale, caustico e graffiante non lascia indifferenti né la critica né il pubblico di tutto il mondo, tanto da accaparrarsi persino un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale insieme a Charles Randolph.

Vice – L’uomo nell’ombra è un film biografico che schiva la banalità del solito film biografico: le iniezioni di genialità non mancano per tutti i 132 minuti, il ritmo è sostenuto da una sceneggiatura che brilla per invenzioni (evito di dire quali per non rovinarvi la sorpresa) e l’obiettivo di far digerire al pubblico una storia che raccontata in modo più classico sarebbe risultata estremamente “pesante” è centrato.

La sua nuova vita artistica comincia proprio da lì e questo suo recente lavoro sulla vita di Dick Cheney sembrerebbe quasi il tanto temuto “secondo film”, quello della verifica, quello che potrebbe consacrare o distruggere chi precedentemente è stato tanto acclamato; beh, prova più che superata e pure alla grande!

L’astuto, silenzioso e pacato Dick Cheney ne esce massacrato e con lui George W. Bush e la politica a stelle strisce; sembra veramente di assistere a una puntata di House of Cards, ma purtroppo per il popolo americano (e per tutti gli altri di conseguenza) questa non è fantapolitica, tutt’altro. Si resta increduli ad assistere ad un susseguirsi di eventi che hanno trasformato il mondo per come lo conosciamo oggi e tutto per l’ambizione di un uomo solo e per l’inettitudine di chi lo circondava, ma ancor più non ci si capacita che ci sia ancora qualcuno in grado di poter raccontare una storia simile e che sia ancora in vita.

Cast da standing ovation, com’è giusto che sia: Oscar quasi sicuro al trasformista (non solo fisicamente) Christian Bale dopo il meritato Golden Globe, Amy Adams mai fuori parte in ogni sua favolosa interpretazione, Sam Rockwell più vero del vero Bush Jr., Steve Carell sempre più bravo (esce in questi giorni anche il film di Zemeckis dove è il protagonista), ma l’elenco sarebbe lunghissimo, perché nessuno è al posto sbagliato e tutti meriterebbero di essere ricordati.

Un’ultima cosa: non alzatevi subito quando cominciano i titoli di coda, perché dopo qualche minuto c’è un’altra gustosa scena che chiude la pellicola con un amaro sorriso.

Voto: 4/5