Il calcio perde uno dei suoi interpreti più autentici. Nella giornata di venerdì, dopo diversi mesi di sofferenza, si è spento Luigi Simoni – per tutti “Gigi” – sapiente condottiero di quell’Inter che nel 1998 conquistò la Coppa Uefa sul terreno del “Parco dei Principi” di Parigi battendo in un derby tutto italiano la Lazio di Sven Goran Eriksson. Questo trofeo, tuttavia, non è che uno dei tanti successi sportivi che il tecnico originario di Crevalcore – paese della provincia di Bologna, immerso nella Pianura Padana – ha conquistato nella sua vita sportiva.

SIMONI CALCIATORE
Il fiore all’occhiello della sua carriera di calciatore sono gli anni trascorsi ai piedi della Mole con la maglia del Torino dove faceva coppia con uno che di nome faceva “Gigi” Meroni, la famosa “farfalla granata”. Simoni e Meroni erano le due ali di quella squadra, quasi sempre uno con il 7 e l’altro con l’11, quando le maglie erano un connubio indissolubile con i ruoli in campo. Come scrive commosso Marino Bartoletti con un post sul proprio profilo social «I due, anche se nello stesso ruolo, non erano mai in competizione. L’estro e la pazienza, la genialità e la concretezza. Ora sono in cielo insieme».

Una formazione del Torino della stagione 1964/65

SIMONI ALLENATORE
Da allenatore ha conquistato ben otto promozioni nei campionati professionistici – un vero record condiviso con Osvaldo Iaconi che di promozioni ne ha ottenute undici ma due di queste nei campionati dilettantistici e una a tavolino – oltre al successo più importante, la già citata Coppa Uefa alla guida dell’Inter di Ronaldo. In coda, anche, una doppia promozione da dirigente ottenuta con il Gubbio, salito dall’allora serie C2 fino alla serie B.

SIMONI E IL VERONA
La sua vita “sportiva” è legata in un certo senso anche ai colori gialloblù. Contro il Verona, infatti, ha segnato il suo primo gol da professionista con la maglia del Mantova in un match di serie B disputato sul terreno del vecchio Bentegodi. L’anno successivo, inoltre, con la maglia del Napoli incrociò ancora l’Hellas – pur non giocando – nella famosa partita di fine stagione in cui si parlò di un tentativo di corruzione per far salire in A i partenopei proprio a spese della società scaligera. Per la cronaca, andò proprio cosi ma la verità non venne mai ai galla. Infine, da allenatore, era lui alla guida di quel Brescia che passando a Verona per 2-1 a poche giornate dal termine guadagnò a spese della squadra di Veneranda, il lasciapassare per il salto nella massima serie. Nelle rondinelle militava allora anche Gianfranco Zigoni, suo grande amico che lui stesso aveva voluto con sè una volta terminata la sua lunga avventura scaligera. Quel giorno “Zigo-gol” nonostante l’insistenza di Simoni, si rifiutò di entrare, troppo forte per lui giocare davanti ai suoi vecchi tifosi. Altri tempi, altro calcio.

Simoni durante un allenamento ai tempi dell’Inter

I messaggi che sono giunti dall’intero mondo del pallone, e non solo, sono la chiara testimonianza della stima e della considerazione di cui ha sempre – meritatamente vien da dire – goduto quest’uomo, sempre coerente con le proprie idee, ma mai sopra le righe. Cose decisamente rare per il calcio dei giorni nostri. Gigi Simoni, successi sportivi a parte, si è sempre contraddistinto per la sua grande competenza, la profonda conoscenza del calcio e, soprattutto, per cortesia, modestia, pacatezza e saggezza, doti in questo mondo a molti sconosciute. In tanti lo hanno definito “maestro di vita”, una definizione sulla quale difficilmente si può non essere d’accordo. Per dare un’idea del suo spessore umano è sufficiente fare un salto indietro al 26 maggio 1998, a quel Juventus-Inter diventato tristemente famoso per il discusso rigore non fischiato su Ronaldo al quale fece seguito, nell’azione immediatamente successiva, l’assegnazione di un penalty a favore dei bianconeri.

Simoni, in campo durante la contestata partita contro la Juventus

In quel frangente, con l’arbitro Ceccarini minacciosamente circondato dai giocatori nerazzurri, Simoni, anche lui in campo a far sentire tutto il proprio dissenso, prima di andarsene pronunciò il famoso «Si dovrebbe vergognare» dimostrando una signorilità e un’eleganza non comuni, peculiarità oggi decisamente rare. Il calcio italiano perde un uomo d’altri tempi, un signore, un allenatore gentiluomo. Uno dei pochi rimasti…