A volte ci sembra che votare non serva più. Che la nostra volontà venga sovrastata da interessi più forti e dinamiche globali, che la nostra scelta non cambi davvero lo status quo. Ma stavolta il voto può davvero fare la differenza. L’8 e 9 giugno 2025 siamo chiamati a esprimerci su cinque quesiti referendari abrogativi che toccano il cuore pulsante della società italiana: il lavoro e la cittadinanza.

Non si tratta di tecnicismi giuridici o riforme astratte. Parliamo di reintegrazione dopo un licenziamento ingiusto, di diritti negati ai lavoratori delle piccole imprese, di precarietà dilagante, di sicurezza nei cantieri, e della possibilità per chi vive in Italia da anni di sentirsi finalmente parte integrante di questo Paese. È una chiamata alla responsabilità civile. È il momento di dire “Sì” o “No” con consapevolezza.

Reintegro: la dignità che non va svenduta

Il primo quesito riguarda il contratto a tutele crescenti del Jobs Act, introdotto nel 2015 dal governo presieduto da Matteo Renzi. Una riforma che ha tolto a milioni di lavoratori la possibilità di essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Una scelta che ha trasformato la perdita del lavoro in una sentenza senza appello. Votare significa tornare a un principio di equità: chi viene cacciato senza motivo, deve poter rientrare. Non è ideologia, è giustizia.

Piccole imprese, grandi ingiustizie

Se lavori in un’azienda con meno di 15 dipendenti, oggi puoi essere licenziato senza giusta causa e ricevere un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità al massimo. Anche se il giudice ti dà ragione. È un’ingiustizia silenziosa che pesa su 3,7 milioni di lavoratori. Il secondo quesito punta ad abbattere questo limite, lasciando che sia il giudice a valutare caso per caso. Perché anche un lavoro in una piccola impresa è una vita da tutelare.

Basta precariato usa-e-getta

Oggi un contratto a termine può durare fino a un anno senza alcuna giustificazione. È così che il lavoro è diventato una roulette russa: rinnovi senza certezze, vite sospese, progetti congelati. Il terzo quesito propone di reintrodurre l’obbligo di “causale” fin dal primo giorno. È un modo per spingere le imprese a investire in rapporti più stabili e per ridare dignità a chi lavora. Dire significa contribuire a contrastare il precariato.

Sicurezza: ogni morte sul lavoro è una sconfitta collettiva

Ogni giorno in Italia tre persone non tornano a casa dal lavoro. Il quarto quesito riguarda la responsabilità delle aziende in caso di infortuni negli appalti. Oggi, se un operaio muore a causa di un rischio specifico dell’impresa appaltatrice, il committente può lavarsene le mani. Abrogare questa norma significa estendere la responsabilità a chi affida il lavoro. Perché chi sceglie, paga. E chi lavora, deve tornare a casa vivo.

Cittadinanza: riconoscere chi già è parte dell’Italia

L’ultimo quesito riguarda la cittadinanza. Oggi per uno straniero extracomunitario servono 10 anni di residenza legale per poterla richiedere. Dieci anni di attesa, pur vivendo, studiando, lavorando e pagando le tasse in Italia. Il referendum propone di dimezzare i tempi a 5 anni. Un ritorno al passato che parla di futuro: riconoscere chi già è italiano nei fatti, è un atto di civiltà e inclusione.

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Perché è fondamentale votare

C’è però un obiettivo decisivo: il quorum. Perché i referendum abbiano valore, deve votare almeno il 50% + 1 degli aventi diritto. Se votiamo, possiamo contribuire a cambiare il mondo del lavoro e a dare un futuro a milioni di lavoratori. Astenersi non è neutralità, è lasciare che l’attuale situazione di precarietà, sfiducia, licenziamenti ingiusti, diritti negati, insicurezza sui cantieri rimanga immutata. L’astensione o la vittoria del “No” darebbero più forza e più legittimità a chi sfrutta e a chi vuole continuare a comprimere le rivendicazioni e i diritti dei lavoratori puntando proprio sul disinteresse, sull’indifferenza. Non facciamogli questo regalo.

Andare a votare non è solo un dovere: significa partecipare alla scrittura delle regole che determinano il nostro lavoro e le nostre vite. È decidere se il lavoro deve essere un diritto o una concessione. Se la sicurezza deve essere un costo o un valore. Se chi vive, risiede, lavora e paga le tasse con noi ha il diritto di chiamarsi italiano.

Il voto dell’8 e 9 giugno non cambierà tutto da solo. Ma può essere un passo importante per ricominciare a crederci. Perché ogni “Sì” dato con consapevolezza è un mattoncino verso un’Italia più giusta.

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