L’omicidio di Giada Zanola, 34 anni, a Vigonza (Padova) da parte dell’ex compagno, Andrea Favero, 39 anni, ha impiegato due giorni prima di essere considerato dai media – e non tutti i giornali l’hanno fatto – un caso di “femminicidio”. Sin dall’inizio, Giada è stata considerata la “donna caduta dal ponte” (o dal cavalcavia), dato che il suo corpo è finito sull’autostrada A4, nei pressi di Padova. Ed è stato travolto da un camion, probabilmente mentre lei era già morta; oppure sedata.

Ecco come l’agenzia Ansa dà la notizia che la donna caduta dal cavalcavia non si è uccisa – come si pensava all’inizio – ma è stata gettata da un’altra persona sull’asfalto dell’autostrada. Il primo dispaccio è delle ore 7.29 di giovedì 30 maggio 2024. “Non si era gettata volontariamente dal cavalcavia dell’autostrada, ma è  stata uccisa dal compagno, che l’ha fatta precipitare sulla carreggiata, la donna il cui corpo è stato trovato all’alba di ieri sulla A4, straziato dai veicoli in transito, a Vigonza (Padova).

Prosegue il dispaccio: “La 34enne è stata buttata dal ponte, precipitando da una quindicina di metri. La svolta, in quello che sembrava un suicidio, è giunta nella notte, al termine delle indagini degli agenti della Polstrada di Padova e di Venezia e dalla Squadra mobile della Questura di Padova. L’uomo, 39 anni, che ha fatto alcune ammissioni al pm, è stato fermato per omicidio volontario”.

Alle 7.53 dello stesso 30 maggio, arriva un altro dispaccio sulla vicenda. Ecco cosa scrive l’Ansa, la più importante agenzia di informazioni in Italia, tra le più importanti al mondo e fonte fondamentale, oltre che punto di riferimento, per i giornalisti e le istituzioni: “La coppia, che ha un bambino di 3 anni, era da tempo in crisi. L’omicidio, secondo la ricostruzione della polizia, è  avvenuto al culmine di una lite che i due hanno avuto mentre si trovavano sul ponte sopra l’autostrada, a Vigonza, poco distante dalla loro abitazione. Qui il compagno l’ha fatta precipitare. Alcune automobili sono riuscite ad evitare il corpo, poi la donna è stata travolta mortalmente da un camion. Sia la vittima che l’indagato sono italiani“.

La notizia dell’agenzia Ansa sull’omicidio di Giada Zanola pubblicata nel notiziario per i giornalisti

Sia giovedì 30 maggio che per buona parte di venerdì 31 maggio, Giada Zanola è la “donna gettata dal ponte”. Solo alle 19.53 di venerdì, l’agenzia Ansa si decide a dare un titolo che corrisponde a quanto è accaduto alla giovane mamma di un bimbo di 3 anni: “femminicidio”. Per arrivare al titolo “femminicidio” ci sono voluti rilievi critici di chi scrive, rilanciati da alcune esponenti dei movimenti femminili. Solo così si è riusciti a convincere i media italiani – ma non tutti si sono ancora adeguati alla verità sostanziale dei fatti – che si trattava di un femminicidio.

Sul magazine Il Biondino della Spider Rossa – che si occupa di come i media rappresentano il crimine e la giustizia – giovedì 29 maggio è infatti uscito un articolo dal titolo: “Femminicidio. Le donne sono uccise sempre al culmine di una lite”, rilanciato su LinkedIn e su Facebook. In questo articolo viene analizzato il racconto dell’agenzia Ansa – e, sulla stessa linea, quello del Corriere della Sera online – sull’omicidio di Giada Zanola: la chiave interpretativa (il frame) usata per dare la notizia sull’omicidio di Giada, le routine giornalistiche nel raccogliere e scrivere la notizia, la scelta degli argomenti (agenda setting) che i giornali hanno deciso di trattare sulla vicenda, l’uso delle fonti a cui i media sono ricorsi per ricostruire il fatto e raccontarlo, il linguaggio che è stato impiegato nel presentare il delitto.

Sit-in per protestare contro le narrazioni bugiarde dei media mainstream (foto Joel-de-Vriend, Unsplash)

La dipendenza dalle fonti nel raccontare il femminicidio

Quello che emerge dalla narrazione dei giornali sull’omicidio di Giada Zanola, è innanzi tutto la dipendenza dalle fonti. L’agenzia Ansa – così come i giornalisti del Corriere della Sera online – ha dato i dettagli dell’omicidio della giovane mamma usando le parole e la versione fornita da polizia e magistratura inquirente. Tant’è che l’omicidio viene presentato come un qualcosa avvenuto “al culmine di una lite”. A loro volta, polizia e magistratura fanno trapelare quanto afferma il presunto assassino, Andrea Favero, compagno della donna uccisa. Gli altri giornali, quelli che non sono presenti con i propri cronisti a Padova, si rifanno a ciò che scrivono l’Ansa e testate come il Corriere della Sera online. Così si comportano anche le trasmissioni televisive. Cos’abbiamo in conclusione? Che a parlare è solo il presunto omicida.

Nessuno si è sognato di ascoltare i vicini di casa di Giada Zanola, i parenti, le amicizie. Eppure il tempo c’era: una volta scoperta l’identità della donna, ci voleva poco per scoprire dove lavorava, cosa faceva, quali ambienti frequentava. Ci sono i social media – che un tempo non c’erano per noi cronisti – dove fare indagini e un lavoro di intelligence. Si tratta di un’investigazione online utile per evitare di appiattirsi sulle versioni ufficiali e parziali degli inquirenti.

Eppure il giornalismo è sempre stato abituato a indagare per conto proprio. Basta ricordare che nel dare la notizia del sequestro e omicidio di Milena Sutter, 13 anni, il 7 maggio del 1971, il quotidiano genovese del pomeriggio, il Corriere Mercantile, si muove in tre direzioni. La prima è quella di dare la notizia fornita dalla Questura e dalla Procura della Repubblica di Genova. La seconda è quella di intervistare le vicine di casa della giovane scomparsa (che sarà trovata morta in mare due settimane dopo). La terza direzione è quella di sentire insegnanti e compagni di scuola della ragazzina. Di questo caso, parlo – contestando le versioni ufficiali – nel podcast Il Colpevole Perfetto. La storia sbagliata di Lorenzo Bozano e Milena Sutter.

Una scena del crimine con l’intervento della polizia (foto Campbell Jensen)

La vittima resta avvolta nel silenzio

Nel caso di Giada Zanola, i giornali danno la sola versione del presunto autore del reato. Diversa la situazione che si era creata dopo la morte di Giulia Cecchettin, quando il papà, Gino, e la sorella, Elena, della vittima ruppero il silenzio che di solito avvolge la famiglia della vittima. La loro posizione è stata tanto fuori dagli schemi e sorprendente, che i due sono stati attaccati da più parti sui social media. Eppure, la loro è stata una scelta fondamentale e un atto di coraggio e libertà nel panorama dei media: sono riusciti a far sentire la loro voce nell’arena pubblica, impedendo che si sentisse soltanto la voce dell’assassino, l’ex fidanzato di Giulia.

Quali conseguenze ha avuto, nel caso di Giada Zanola, il fatto che sia passata all’inizio soltanto la voce del compagno, Andrea Favero, filtrata da inquirenti e avvocato della difesa? Le conseguenze sono state almeno quattro. La prima è stata quella di scansare, sin da subito, l’uso della parola “femminicidio” nel classificare il delitto di cui Giada è stata vittima. Lei è stata, e per molti aspetti rimane ancora, “la donna caduta dal cavalcavia”. Abbiamo quindi un uso del linguaggio che non rende giustizia alla vittima.

Giada Zanola, 34 anni, vittima di femminicidio. Il presunto assassino è il suo ex compagno, Andrea Favero

A parlare è soltanto il presunto assassino

La seconda conseguenza è stata la chiave interpretativa (il frame) con cui si è letta sin da subito la tragica morte di questa donna: l’esito di una lite degenerata. Giada sarebbe stata uccisa, gettandola dal ponte sull’autostrada, “al culmine di una lite”. Il ricorso al frame del “litigio” è stato dettato dal presunto assassino; e inchiodato come verità giudiziaria dai giornali. Cosa sarebbe accaduto se l’agenzia Ansa – ma prima ancora gli inquirenti – avessero dato come lettura il “femminicidio”? Tutto il racconto della vicenda avrebbe assunto un altro colore. Qualcuno si sarebbe magari mobilitato. Ci sarebbero stati commenti più incisivi da parte delle istituzioni. L’immagine della vittima avrebbe assunto altri colori.

La terza conseguenza è che si è rinunciato, da subito, a capire il contesto di violenza entro cui si colloca il delitto. Eppure il quadro, l’ambiente, l’atmosfera entro cui si colloca un delitto – come qualsiasi altro fatto – sono fondamentali per capire cosa sia accaduto. Senza il contesto, rischiamo di perdere il significato di un evento, di non vedere elementi che consentono di capire quell’evento, di non cogliere le connessioni tra le azioni compiute. Anche qui, la vicenda di Milena Sutter e di Lorenzo Bozano (di cui parlo nel podcast Il Colpevole Perfetto) mi ha consentito di capire come, trascurando il contesto, si rischi di perdere la verità sostanziale dei fatti.

I media svolgono un ruolo importante nella narrazione sui femminicidi (Foto Sam McGhee, Unsplash)

La vittima messa in cattiva luce dai media

Vi è poi la quarta – e forse più amara – conseguenza, quando a parlare è solo il presunto assassino. Giada Zanola, prima ancora di denunciarne il femminicidio e la violenza subita, è stata presentata come quella che “voleva lasciare il compagno”. Giada è quella che “non voleva far vedere il bambino al padre”. Giada è quella che “ha un altro uomo”. Ora Giada è anche la protagonista di “foto e video intimi”. L’unione di questi pezzi porta in una sola direzione: ridurre la gravità dell’omicidio di cui Giada è stata vittima; e attenuare la responsabilità del suo ex compagno, Andrea Favero.

La conclusione amara di questa tragica vicenda – dove la “donna caduta dal ponte” ha occultato un atroce “femminicidio” – è che, purtroppo, per responsabilità di noi giornalisti, con grande fatica Giada Zanola sarà ricordata innanzi tutto come una donna uccisa perché donna. Lei ci si presenterà alla memoria, innanzi tutto, come la “donna caduta dal ponte”. E nelle cadute, lo sappiamo, c’è spesso anche la responsabilità di chi cade. Purtroppo qui assistiamo anche alla caduta di un giornalismo che ha scritto una delle sue pagine peggiori. E più avvilenti.

Come combattere la violenza di genere

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