Deborah Kooperman, musicista americana – è nata a Newburgh, nello Stato di New York – dalla carriera invidiabile e dagli incontri giovanili a New York con Bob Dylan,Richie Havens, José Feliciano alle collaborazioni a Bologna con Francesco Guccini e Lucio Dalla, si racconta ai nostri microfoni.

Come si definisce come musicista?

«Questa è una domanda difficile perché non mi sono mai autodefinita. Mi ritengo semplicemente una musicista. Suono sempre per un mio piacere e non con il fine di fare soldi. Certo che se faccio un concerto mi piace essere pagata intendiamoci, ma non è il fine. Sono una cantautrice che interpreta le canzoni popolari americane. Insomma, le rifaccio a modo mio. La passione per questo genere musicale l’ho ereditata dai miei genitori».

Lei suona in un modo particolare la chitarra…

«È un tipo di arpeggio per chitarra acustica molto usato negli Stati Uniti che si chiama “fingerpicking”. Ora è comune anche Italia, ma quando arrivai io negli anni Sessanta non lo faceva nessuno. Era una novità. Ho imparato a suonare la chitarra a 16 anni, prima suonavo il pianoforte, grazie a un amico musicista – che poi andò ad abitare in Canada per evitare il Vietnam – che mi insegnò i primi tre accordi di chitarra».

Facciamo un passo in dietro. Che ricordi ha di Deborah bambina negli Stati Uniti?

«Ricordo che in casa mia c’era sempre musica. È venuto anche Pete Seeger a fare dei concerti in occasione delle riunioni del sindacato degli agricoltori. Mio papà era un allevatore di polli, ma anche un musicista e attore mancato. Non ha mai avuto l’opportunità di esprimersi.  Cantavamo spesso assieme, ma anche ascoltavamo dischi, a 78 giri, di jazz, classica e canzoni popolari. Anche mia mamma cantava e mio fratello suonava».

Deborah Kooperman da giovane

Da adolescente è sempre stata impegnata politicamente, come del resto i suoi genitori…

«Mio padre partecipava a tutti gli incontri sindacali, era impegnato politicamente. Io da giovane sono sempre stata una contestatrice. Ho fatto le marcie su Washington in favore dei diritti civili degli Afro Americani. Era il tempo di Martin Luther King. Ma anche per le strade di New York contro la guerra in Vietnam».

A 17 anni arriva al Greenwich Village a New York dove conosce Bob Dylan, Richie Havens, José Feliciano. Un periodo importante per la sua crescita musicale…

«È stato un periodo importantissimo per la mia crescita musicale. Sono partita dalla mia casa in campagna per approdare a New York per studiare lingue all’università. Il dormitorio che mi ospitava era al Greenwich Village. Luogo meraviglioso per un musicista. Alla sera andavo a sentire dei concertini nei piccoli caffè affollati dai turisti. E qui ho conosciuto anche Bob Dylan. In questi locali ho iniziato anch’io a suonare. L’esibizione terminava sempre con il rito di passare tra il pubblico con un cestino per raccogliere dei soldi. Ma c’era il problema degli orari del dormitorio. Alle 23 chiudeva le porte. Io uscivo di nascosto dalla lavanderia e una volta fuori andavo a cantare nei locali fino alle 3. Dopo si andava a Chinatown a mangiare e quando il dormitorio riapriva le porte alle 7 io rientravo e andavo a letto. Naturalmente lo studio non rientrava più nelle mie priorità e così decisi di abbandonare l’università. Affittai con un’altra ragazza un appartamentino e cominciai a insegnare chitarra e fare qualche concerto. Mio padre mi mandava spesso dei polli e delle uova e così la casa si riempiva di musicisti affamati».

Che tipo era Bob Dylan?

«È stata una conoscenza molto breve. Anche Dylan a quel tempo era un giovane come tanti altri che suonava nei locali che frequentavo anch’io. Il suo successo avvenne quando Peter, Paul and Mary fecero conoscere a livello internazionale la sua canzone “Blowin’ in the wind”».

Poi da New York è sbarcata, alla fine degli anni Sessanta, a Bologna. Come mai in Italia?

«Nel 1966 decisi di iscrivermi nuovamente all’università per studiare pedagogia musicale. Studiavo, lavoravo e suonavo. Nel 1968 ci fu l’opportunità di continuare gli studi in Europa, quello che oggi si chiama Erasmus. La prima destinazione doveva essere Parigi, poi viste le contestazioni giovanili che c’erano nella capitale francese la scelta cadde su altre due città: Madrid e Bologna. La Spagna fu scartata perché essendoci ancora Franco, e noi eravamo tutte teste calde, sembrò la meno indicata. Si optò allora per la più tranquilla Bologna. Poi qui trovai anche l’amore e ci rimasi diversi anni prima di approdare nel veronese».

Qui conosce Francesco Guccini e dal 1969 al 1975 compare come chitarrista nei suoi album ed è presente nei suoi concerti. Com’è nata l’amicizia?

Deborah Kooperman con Francesco Guccini

«Un giorno a Bologna ci fu un concertino pomeridiano aperto a tutti gli studenti della Johns Hopkins, l’università americana, a quale, su suggerimento del mio professore, partecipai. Tra il pubblico vi era anche Francesco Guccini che alla fine del concerto mi bloccò e mi disse che gli piaceva la mia tecnica di suonare la chitarra e che gli sarebbe piaciuto avermi tra i musicisti dei suoi dischi. Il primo a cui ho partecipato fu “Due anni dopo”. Nei concerti, invece, si esibiva prima lui e poi io e alla fine assieme interpretando il brano “Cuckoo” che a Francesco piaceva tantissimo. Abbiamo fatto dei concerti dove c’era poco pubblico.

Un giorno gli dissi che doveva trovarsi un gruppo che lo sostenesse nei concerti. Gli presentai Juan Carlos Biondini, Flaco, che suonava in un trio che comprendeva anche un ragazzo dell’Ecuador, che ora non ricordo più il nome, e Gianni Coron, il primo bassista dei Nomadi. Guccini scriveva testi fantastici, ma gli mancava l’arrangiamento musicale. Prese con sé Biondini che partecipò nella realizzazione di tanti suoi album».

Un aneddoto curioso dei tanti concerti con Guccini?

«Ne avrei tanti. Una volta eravamo a Milano per un concerto e dovevamo tornare subito dopo a Bologna. Francesco non ha la patente e quindi dovevo guidare io. Gli chiesi allora di temermi sveglia e di farmi compagnia. Mi promise che lo avrebbe fatto. Partimmo alle due di notte e appena salito in auto Francesco si addormentò. Io per stare sveglia cantai per tutto il tragitto brani di opere liriche, ma lui all’arrivo non se ne era nemmeno accorto».

Nel 1971 accompagnò in tournée anche Lucio Dalla. Altro stile rispetto a Guccini. Cosa si è portata via di quella esperienza?

«Lucio Dalla aveva cantato a Sanremo “4 Marzo 1943” e per la sua tournée chiese a me e a Ron, che allora era conosciuto con il suo vero nome di Rosalino Cellamare, di accompagnarlo con le chitarre acustiche dandoci la possibilità di fare una canzone da solisti. Dalla è stato un grande personaggio».

Non ha mai pensato di farsi conoscere in Italia come solista visto anche il suo stile particolare di suonare la chitarra?

«Ho sempre fatto tanti di concerti nei vari Arci di tutta Italia. Arrivavo a farne anche trenta nel periodo estivo. Era un momento d’oro. Giravo l’Italia da sola e ogni tanto mi esibivo con il trio di Flaco. Avrei dovuto essere un po’ più aggressiva nel “vendermi”, ma non l’ho fatto. Non sono così. O hai un manager che ti “vende”, cosa che non ho mai avuto, o ti “vendi” da sola, cosa che non mi è mai piaciuto fare, altrimenti tutto diventa difficile».

Dopo la collaborazione con Dalla cosa ha fatto?

«Nel 1985 arrivai nel veronese al seguito di mio marito. Mentre a Bologna avevi cento possibilità di suonare qui è stato più difficile. La cosa poi è coincisa con il calo delle feste de L’Unità e la minor richiesta di concerti di cantautori, tranne che per i big. Qui andava di moda il Liscio».

Quanti vinili e cd ha pubblicato?

«Tre. Due LP, “These are my people” e The last dove”, e un cd nel 2008 dal titolo “Yesterday… Tomorrow”. Non sono stata molto prolifica. Ho messo anche in musica una poesia inglese dell’Ottocento che a Guccini piaceva molto. Gli chiesi di tradurmela in italiano e diventò un 45 giri dal titolo “E tornò la primavera”. In seguito diventò anche una canzone di Patty Pravo. Un giorno ero in sala d’incisione a Milano, inizi anni Settanta, per registrare la canzone “Il gigante e la bambina” di Ron quando arrivò Patty Pravo che gentilmente ci chiese la sala perché aveva urgenza di sistemare una incisione. Nel mentre che attendevo che finisse, suonavo con la chitarra delle canzoni e in particolare quella che ti dicevo prima. Quando Patty Pravo uscì la senti e mi disse che le piaceva tanto. Mi chiese se poteva inserirla nel suo prossimo album. Io acconsentii e mi invitò anche a suonarla. Uscì nel 1971 con il titolo “Tornò la primavera” (LP “Di vero in fondo”, ndr).

Ho collaborato anche con Rudy Rotta che mi ha chiesto di scrivere i testi per un album che ha fatto poi in America dal titolo “Winds of Lousiana”».

Una sua canzone che porta nel cuore?

«Dipende dalle varie fasi della vita. Comunque, la mia preferita è “L’ultima colomba”, tante colombe che volano alla ricerca della pace. Ma anche quella popolare “Cuckoo” un madrigale inglese che è stato portato nel Sud degli Stati Uniti e che ho rifatto a modo mio. È la storia di una persona che gioca a poker».

Una di un altro cantante o gruppo?

«Mi piacciono molto le canzoni di Paolo Conte, ma anche quelle di Fabrizio De André e di Lucio Dalla. Di Guccini mi piacciono le canzoni iniziali della sua carriera».

Dei nuovi cantanti, chi le piace?

«Elisa, che ho visto in Arena, mi piace molto perché è una persona molto genuina. Anche Fiorella Mannoia mi piace».

Ha un rimpianto, musicalmente parlando?

«Come ti dicevo, In Italia avrei dovuto essere un po’ più aggressiva per avere un successo maggiore di quello che ho avuto. Ho però un altro mini rimpianto. Quando sono andata via da New York suonavo e cantavo in un trio di donne, un banjo e due chitarre. Eravamo andate a fare un’audizione da una persona molto importante nel mondo musicale di allora, fine anni Sessanta – era l’arrangiatore di gente famosissima tipo Peter, Paul and Mary -, che ci disse che ci avrebbe preso nella sua scuderia. Poi ebbi l’opportunità di venire in Italia e il fascino dell’Europa era più forte di quella promessa. Ogni tanto mi chiedo cosa sarebbe successo se io non fossi partita?».

Ad aprile andrà a Cuba. Farà dei concerti?

«Starò a Cuba un mese invitata da Don Daniele, ex parroco di Povegliano Veronese. Lì insegnerò musica a bambini e adolescenti. Nella sua zona ci sono cinque parrocchie, dislocate nell’arco dei 50 chilometri l’una dall’altra, con tre parroci veronesi. Sarà un mese impegnativo. Ho anche intenzione di fare un concerto in ogni posto che andrò a insegnare».

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