FIFA e UEFA non possono imporre sanzioni ai club che partecipano a competizioni alternative”. È questo il succo dell’attesissima sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che, in sintesi, certifica l’abuso di posizione dominante dei board guidati da Infantino e Ceferin sul mercato delle competizioni calcistiche.

Inizia la rivoluzione del calcio? I top club europei torneranno a spaccarsi tra i fedeli alla tradizione e gli scissionisti pro Superlega? Possiamo recitare il De profundis per le grandi confederazioni internazionali, da adesso in poi liberi tutti e i club detteranno legge? Al momento ci andrei cauto.

Bernd Reichart, CEO di A22, la società creata per gestire e lanciare la nuova Superlega, non ha perso tempo e, un paio d’ore dopo la sentenza, ha esordito trionfalmente: «il calcio è libero. Abbiamo ottenuto il diritto di competere. Il monopolio UEFA è finito. I club sono ora liberi dalla minaccia di sanzioni e liberi di determinare il proprio futuro».

Una “libertà d’impresa” che va testata

Bene, capiscoo l’entusiasmo, certamente un bel regalo di Natale per Agnelli, Perez e compagnia cantante, ma troppe volte abbiamo visto proclami altisonanti rivelarsi poi illusorie bolle di sapone.

Bernd Reichart illustra il progetto Super League

Anzitutto analizziamo la sentenza. Tecnicamente viene concessa libertà di impresa ai club che potranno quindi scegliere se partecipare anche a competizioni non direttamente organizzate dai due organi leader del calcio mondiale. E potranno farlo senza rischiare pene o esclusioni di sorta che FIFA e UEFA farebbero scontare nei tornei già esistenti o nei campionati nazionali.

Che la sentenza avrebbe colpito la liceità di questa sanzioni, era abbastanza ovvio. Un orientamento conforme alle principali norme europee su lavoro, impresa e concorrenza. Perché di questo, fondamentalmente, si tratta. Ognuno ora è libero di creare il proprio torneo, farci entrare chi vuole e scegliersi le regole? Tecnicamente sì, ma da qui ad organizzare nuovi tornei alternativi che possano essere al livello della Champions o sostituire i campionati nazionali, di acqua ne passa. D’altronde, come ogni buon politico insegna, il vero potere non sta in un foglio scritto, ma nella capacità di influenzare, convincere e spostare. Idee, posizioni, voti.

I primi a saperlo, sono proprio quelli di A22. Non è un caso, infatti, che il progetto di Superlega attuale sia molto diverso da quello presentato nella primavera del 2021. Quella era, essenzialmente, un country club di lusso per soli super team; oggi l’idea è un torneo molto più aperto. 64 squadre maschili e 32 femminili che giocano a turni infrasettimanali in un sistema di campionati in tutta Europa.

Una nuova “sentenza Bosman”?

Potenzialmente l’effetto a lungo termine potrebbe essere quello di una nuova sentenza Bosman, ma in questo caso sono in gioco fattori non semplicemente legati al mercato del lavoro. Non sottovaluterei, ad esempio, l’impatto che, a livello “popolare”, potrebbero avere le scelte di questo o quel club.

Due anni e mezzo fa a far deflagrare il primo tentativo di scissione furono proprio le prese di posizione delle principali fan base del tifo inglese, che fecero cambiare idea ai club inizialmente coinvolti. Equilibri e posizionamenti che non si scalfiscono dall’oggi al domani. Anche l’annuncio di Reichart che propone la “visione gratuita di tutte le partite della Super League” va letto in questo senso.

Certo, a voler guardare l’ipotesi Superlega con l’occhio dell’imprenditore, qualche precedente di successo lo si trova senza fatica. Primo tra tutti quello dell’Eurolega di pallacanestro, ma anche il LIV Golf Tour di ideazione saudita, che ha attirato lontano dal PGA Tour numerosi professionisti, comprese stelle come Mickelson e Johnson, con pagamenti garantiti anche in caso di scarse prestazioni. Il concetto è chiaro: se intervengono sponsor e player remunerativi (leggasi sempre “Arabia Saudita”), allora sì che qualche ingranaggio potrebbe pure smuoversi.

la sede dell’UEFA a Nyon

Personalmente, però, ritengo che siano altre due le parti più interessanti della sentenza. La prima è quella che riguarda la composizione delle famose “liste UEFA”, che ad oggi obbliga un club ad inserire ragazzi cresciuti nelle proprie giovanili. La Corte UE ha rilevato l’incompatibilità di questa norma con le leggi che regolano il mercato del lavoro. Il vincolo andrà eliminato, e non sono convinto sia proprio una grande innovazione.

Il secondo passaggio interessante è quello in cui si esplicita che “le norme FIFA e UEFA relative allo sfruttamento dei diritti mediatici sono tali da danneggiare le società calcistiche europee, le imprese che operano nei mercati dei media e, infine, i consumatori e i telespettatori“.

Su questa tematica, soprattutto se estendiamo il ragionamento ai grandi tornei per Nazionali, si potrebbero aprire degli spiragli in grado di portare a qualche doveroso scossone. Non c’è neanche bisogno di specificare che, quando parliamo di una competizione calcistica, la parte più gustosa della torta sta nei diritti TV collegati. E non è un segreto che è ormai una consolidata tradizione quella di cedere tali diritti a prezzi di favore a società dalla struttura piuttosto liquida. Vere e proprie scatole cinesi, spesso riconducibili a politici o dirigenti federali di questo o quel Paese. Società che poi rivendono i diritti tv ai broadcaster internazionali realizzando plusvalenze enormi. Il tutto in cambio di voti e sostegno. Ad esempio se c’è da assegnare un Mondiale al Qatar in pieno inverno.

Infront Sports & Media AG, Wanda Group e Match (suddivisa nelle sue sussidiare Match Hospitality e Match Service) sono solo alcuni dei colossi che negli anni hanno fatto affari con la FIFA e UEFA. Sono sicuro che, a scorrere i componenti dei vari board e consulenti, qualche cognome di spicco l’avrete già sentito da altre parti.

Ecco, se la sentenza della Corte di Giustizia UE portasse alla fine di certi rapporti di potere ormai incancreniti per avere redistribuzioni e assegnazioni più trasparenti, sarebbe già una buona rivoluzione. Non lo sconquasso planetario che qualcuno già pregusta, ma un primo passo avanti. Poi, se ancora state sognando il ritorno alle partite da ascoltare alla radiolina tutte assieme la domenica pomeriggio, lì non ci siamo proprio. Ok che è Natale, ma siamo tutti un po’ cresciuti per credere anche a questo.

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