Giaccio disteso all’ombra di un Albero di Giosuè e col cappello scaccio gli insetti dalla ferita sulla gamba causata da una Colt. In lontananza sei figure nere emergono dal deserto texano; l’immagine tremolante nel caldo torrido. Si avvicina un corvo. Nero. Nel becco un dito umano insanguinato.

Apro gli occhi e ho davanti Francesco Cappiotti che ride. L’ho chiamato per chiedergli dell’ultimo lavoro dei Last Drop Of Blood, Season II. Le atmosfere sono morriconiane e ascoltandolo si percepisce in modo vivido la sabbia del deserto del vecchio west.

Si nota subito la perfetta coerenza stilistica tra la musica, e la comunicazione.  Il progetto è organico, riprende e sviluppa i temi già presenti nel primo omonimo disco della band, del ’18, ma è più maturo.

“La musica deve avere un impatto cinematografico”, mi racconta Francesco. – È   così che la scrivo. Come commenterei una scena che sto guardando? I miei brani sono le risposte a questa domanda. Il tempo è largo ed enfatizza i paesaggi sconfinati che accompagnavano i coloni in viaggio verso l’ovest nordamericano. I musicisti sono personaggi che si muovono in scenografie immaginarie, con tutta l’iconografia conseguente. Season II è, d’altra parte, la seconda stagione di un viaggio iniziato cinque anni fa; i bagagli al seguito sono gli stessi”.

I brani sono di Francesco Cappiotti, fratello del frontman Carlo, e i testi sono autobiografici. Ma sublimati e assoggettati allo spazio-tempo del progetto. Ci sono immagini che appartengono alla sua storia personale ma che ciascuno calerà nella propria sensibilità.

I testi sono tutti di Francesco; le musiche in effetti no. “Blood everywhere”, il primo singolo, è scritto in collaborazione con Claudia Or Die. È strumentale e svolge egregiamente la sua funzione di introduzione al disco. Catapulta in un attimo nell’atmosfera, come la sigla del film che stiamo accingendoci a guardare. È un po’ una sintesi tra il rock di Cappiotti e le influenze elettroniche di Claudia Or Die. Qui troviamo anche il prezioso contributo vocale di Andrea Chimenti.

Cappiotti, ma lei ha mai vissuto nel deserto?

«Ho fatto esperienza del mio deserto, dice. Ho vissuto isolato per due anni e non ho toccato la chitarra per un anno. È stato un periodo di depurazione e di ricerca, che ha poi portato alla concreta realizzazione del progetto Last Drop Of Blood.

Coi Facciascura (la sua precedente band) abbiamo fatto un bel pezzo di strada ma sentivo che mancava qualcosa. E quando non riesci a capire che cosa non va può essere che quello che non funziona sia tu stesso. Il nuovo progetto doveva distinguersi, essere molto ben identificabile, avere uno stile ed un’estetica precise. È necessario che la storia che raccontiamo sia comprensibile a chi ci ascolta, se è troppo complessa non passa. Va semplificata, resa accessibile.»

Questo disco è stato fermato dalla pandemia. Era pronto da parecchio per la pubblicazione ma non era ancora tempo. Gli ultimi anni sono stati molto duri per i musicisti. Come ha influito lo stop forzato sugli equilibri della band?

«Il disco è stato molto sofferto, come peraltro anche il precedente. Abbiamo avuto però due avvicendamenti nella formazione e questo la dice lunga sulla difficoltà di sviluppare un progetto con queste restrizioni. Siamo molto contenti che il risultato stia piacendo. Abbiamo riscontri molto positivi e questo ci ripaga degli sforzi.»

Infatti qualche volta lavorando bene càpitano delle magie.

«È così. È notizia di oggi che senza che lo sapessimo uno dei nostri brani sia stato inserito in una playlist di Spotify da 100.000 followers, dopo un solo giorno di pubblicazione. È stata una bella sorpresa e ci dà conferme riguardo alla direzione artistica che abbiamo intrapreso.»

Quali sono i pezzi a cui si sente più legato?

«“Till I’m Buried” è uno dei miei preferiti per i contesti Live. Stilisticamente il brano più raffinato è “Postcards From A Ghost Town”. Tutte le canzoni sono comunque parte di un discorso; tutti i brani suggeriscono un’immagine. Ogni disco nuovo deve portarti un po’ più su, altrimenti non ha senso. La produzione di Shawn Lee (celebrato collaboratore tra gli altri, di Jeff Buckley e Amy Winehouse) ci spinge verso un pubblico internazionale e questo è ciò a cui puntiamo per il prossimo futuro. Senza comunque tralasciare alcune selezionate date in Italia.»

Durante il concerto di presentazione del disco, alle Cantine de l’Arena lo scorso Venerdì 28 Aprile, ha parlato parecchio.  Sarà lo stile anche dei prossimi spettacoli?

«I brani vanno presentati, raccontati, devono respirare. Dobbiamo cucire la distanza col pubblico che assiste. Quindi sì, questo è ciò che faremo. »

Tutta la band sembra molto calata nella parte, sembrate molto affiatati.

«In effetti siamo convinti del lavoro che stiamo facendo e confidiamo che ci porti soddisfazioni. Sento di dover ringraziare anche Shawn (Lee) per la produzione e David Bonato della Vrec, la nostra etichetta discografica.»

Con questo Francesco vuota il suo bicchiere di Tequila, esce dal saloon, slega il cavallo e riprende la via del deserto, sparendo oltre i cactus. Io rimango sdraiato su una panca, con una fascia stretta sopra la ferita sulla gamba; una mano a tenere il sangue e una sul fucile.

TRACK LIST

  1. Till I’m Buried
  2. Love funeral
  3. Postcards From A Ghost Town
  4. Feelin’ Good
  5. Thirty Holes
  6. Don’t Let Your Head Keep Telling Lies
  7. Blood Everywhere – Season II Theme
  8. What if

Instagram: https://www.instagram.com/thelastdropofblood/?fbclid=IwAR1CV7v2402LangZl_3QQacomS4BxlmoCK7f7INjtYpUrht4PitiC69Vimo 

Spotify: https://open.spotify.com/intl-it/artist/1m5x1DxmAAaSQh1ldhiWE8