Il fenomeno delle cosiddette “baby gang” è un problema sociale complesso che coinvolge diversi fattori, tra cui l’ambiente familiare, l’istruzione, la povertà e la mancanza di opportunità. Si tratta di gruppi di adolescenti che si uniscono per commettere atti di microcriminalità come il bullismo, l’aggressione e il vandalismo.

La tipologia prevalente dei gruppi di minori si caratterizza spesso per una scarsa strutturazione interna, per un agito prevalentemente immediato e senza alcuna pregressa organizzazione.

Solitamente il branco riguarda meno di 10 individui con un’età compresa tra i 15 e 17 anni ed è caratterizzato soprattutto dalla deresponsabilizzazione, perché la responsabilità delle azioni malavitose viene divisa tra i membri del gruppo, che funge da scudo apparente. Influente è anche l’uso dei social network perché rafforza l’idea di gruppo e genera processi di emulazione.

Le cause di un comportamento violento

Cosa porta i giovani a queste azioni? Gli adolescenti vogliono separarsi dalla famiglia e il gruppo diventa un facilitatore del processo di separazione e individuazione. Inoltre, in questa fascia d’età, i ragazzi sono spinti da un forte desiderio di anticonformismo e in alcuni casi adottano condotte antisociali per frustrazioni non controllate, che portano a scaricare l’aggressività su altri soggetti. Altri ancora vivono la loro onnipotenza, pretendono il riconoscimento e non ammettendo la paura.

Come può venire in aiuto la psicologia per limitare il diffondersi di questa piaga sociale? La psicologia può fornire un importante contributo nell’affrontare questo fenomeno, attraverso lo studio del comportamento umano e l’individuazione delle cause profonde che portano i giovani a unirsi a gruppi violenti.

L’aiuto che può dare la psicologia

In primo luogo, la psicologia può aiutare a comprendere il ruolo dell’ambiente familiare nella formazione della personalità dei giovani. I bambini che crescono in un ambiente familiare instabile, caratterizzato da violenza, abuso e trascuratezza, hanno maggiori probabilità di sviluppare comportamenti aggressivi e delinquenziali in futuro. Altri fattori che portano maggiormente i giovani a compiere questi atti violenti sono i rapporti problematici con i pari o con il sistema scolastico.

Le famiglie vanno aiutate e supportate attraverso la terapia familiare e l’educazione alla genitorialità, per accompagnare i genitori a creare un ambiente sicuro e stimolante per i loro figli.

La prevenzione chiede un approccio multidisciplinare

In secondo luogo, la psicologia può contribuire a individuare le cause profonde che portano i giovani a unirsi a gruppi violenti. Gli adolescenti che si uniscono a baby gang spesso cercano di soddisfare il loro bisogno di appartenenza e di identità, in un contesto in cui mancano altre opportunità.

Lo psicoterapeuta può, infatti, fornire strumenti utili per aiutare i giovani a sviluppare un senso di identità positivo e trovare modi costruttivi che soddisfino il loro bisogno di appartenenza.

Quali sono le strategie migliori per prevenire e contrastare il fenomeno delle baby gang? Esistono sicuramente due strade da percorrere. La prima, la cosiddetta prevenzione primaria, attraverso la promozione di contesti educativi positivi e l’educazione alla cittadinanza attiva fin da piccoli, può ridurre il rischio che i giovani si uniscano a gruppi violenti.

La prevenzione secondaria, in alternativa, può prevenire la diffusione del fenomeno e correggere i comportanti sbagliati messi in atto dai giovani attraverso l’identificazione precoce dei soggetti a rischio e l’offerta di interventi mirati con le strutture del territorio.

È bene sottolineare, comunque, che solo attraverso un approccio multidisciplinare che coinvolge le famiglie, la scuola, gli psicologi e le autorità, è possibile sconfiggere questo problema e costruire un futuro migliore per le nuove generazioni. 

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