Quanto è bello: il naso all’insù e immergersi nel cielo stellato! Un pizzicore imprecisato sussurra quell’inquietudine che ci mantiene vivi perché ci fa sentire vivi, sospesi in una lontananza da un qualcosa che, in fondo, desideriamo perché, in qualche modo, conosciamo.

Sappiamo che il cielo con le sue stelle è sempre lì, sopra le nostre teste, eppure quando ci soffermiamo a guardarlo avvertiamo la sua incerta presenza e rimaniamo sospesi, tra la meraviglia e un po’ di timore: non solo per la nostra dimensione limitata nel tempo ma anche per la distanza spazio-temporale del cielo stesso. Quel che vediamo è distante anni luce e potrebbe non esserci più nel qui ed ora del nostro sguardo.

Siamo qui e ci sentiamo in relazione con qualcosa di lontano, così lontano che nemmeno possiamo ben immaginare, non lo afferriamo ma in qualche modo ci è familiare e ci manca, come se sapessimo della sua essenza.

È là fuori eppure lo sentiamo dentro di noi

James Hillman chiama il mondo “La valle del fare Anima” invitandoci ad osservare in trasparenza, a vedere il mondo, sia nei suoi elementi astratti che in quelli concreti, una proiezione di Anima, la dimensione più profonda di ciascuno di noi, sentendoci parte di un tutto e contemporaneamente sentendo questo tutto dentro di noi.

Come non comprendere, quindi, Emily Dickinson quando scrive di Anima come finita infinità?

Ci sono dei limiti, dei confini ma siamo “infinito” che sentiamo vivo nel momento in cui ci fermiamo, creiamo un vuoto e quindi uno spazio per osservare le maestose immagini del mondo che ci circonda e soprattutto quando con esse ci mettiamo in relazione, in una danza tra il dentro e il fuori da noi; emerge così un desiderio, che forse riguarda il sentirci vivi, vitali, in relazione con il nostro Sé, la nostra autenticità, percepibile come la sensazione essere un tutto e contemporaneamente di appartenere a questo tutto.

La parola desiderio rimanda etimologicamente all’assenza (de-) di stelle (-sidera); come a dire che in assenza di stelle, in quel cielo nero, aneliamo di riavere la luce. Quindi una stella, la sua luce, dovrebbe costituire un desiderio esistente, un bisogno attuale che proviene da lontano, nello spazio e nel tempo, verso il quale sentiamo di doverci dirigere nutrendo, così, Anima. Forse si tratta del desiderio e del bisogno di essere sé stessi con le nostre luci e le nostre ombre.

Un sentiero luminoso

Le stelle ci mostrano la propria luce che, pur viaggiando a 300mila km al secondo, impiega un certo tempo per coprire le distanze da noi. E quindi, paradossalmente, è in questa distanza che noi de-sideriamo; forse potremmo dire che viaggiamo nella nostra vita, in una distanza fatta di un vuoto spazio-temporale che, in definitiva, ci guida per attraversare quei momenti di crisi fatti del desiderio profondo di riscoprire e ricongiungerci con la nostra autenticità.

In questa distanza siderale, abbandoniamo luoghi e realtà conosciute per spostarci verso l’ignoto che contemporaneamente ci guida, ci illumina, ci mostra la via. Come le stelle, appunto.

Come non pensare alla notte di San Lorenzo e alle stelle cadenti, che sono bellissime e ci fanno tornare un po’ bambini, ragazzi e anche un po’ romantici, spingendoci a guardare il cielo almeno una volta l’anno! Ci spingono a cercare il buio, a sdraiarci su un prato o solamente ad alzare lo sguardo alla ricerca di quelle luci che nulla hanno a che fare con uno schermo o una lampadina. E ci fanno sentire il potere del desiderare qualcosa che non abbiamo. Ma, a ben pensare, non essendo stelle bensì frammenti di meteore, ed essendo veloci nel loro breve manifestarsi, ci ricordano una sostanziale differenza: quella con le stelle, quelle vere che, pur lontane nello spazio e nel tempo, sono lì, nella loro ambivalente alternanza tra esserci e non esserci, che appartiene a tutti noi, fatti della loro stessa materia.

Una differenza sostanziale

C’è differenza tra bramare e desiderare, tra quel consumarsi di desiderio di un oggetto usato per silenziare il vitale vuoto interiore e sentire e stare nel desiderio di Sé; tra appagare temporaneamente e illusoriamente e ascoltare il vuoto dentro e fuori di noi; tra un moto senza fine – ma che non porta da nessuna parte – in cerca di altri oggetti a cui affidare il compito di colmare il senso di smarrimento che si può provare di fronte alla vastità della vita e sentirsi viandanti di sé stessi, viaggiando dentro di noi, verso in nostro Sé in un viaggio che ci permette di scoprire panorami e luoghi unici e inesplorati nonché irripetibili.

© RIPRODUZIONE RISERVATA