Si è tenuta ieri in piazza Bra una manifestazione contro l’attuale presidente dello Sri Lanka, Gotabaya Rajapaksa. La comunità srilankese di Verona è scesa in piazza chiedendo a gran voce l’allontanamento dei governanti del proprio Paese. Il presidente Gota ha infatti confermato di non voler rassegnare le dimissioni e ha dichiarato che sarà l’attuale governo a risolvere la grave crisi in cui versa il suo Stato.

A Verona, così come in molte altre città italiane, gli immigrati srilankesi si sono riuniti per sostenere i connazionali che stanno protestando in patria. Dallo scoppio della pandemia, lo Sri Lanka è sprofondato in una crisi economica senza precedenti. La condizione generale dei cittadini è peggiorata in questi mesi a tal punto da costringerli a dover fare la fila negli hub di distribuzione per il cibo.

Molti manifestati sventolano bandiere e cartelli in srilankese

Gotabaya Rajapaska e il fratello, il premier Mahinda, a seguito delle dimissioni dei ministri del precedente governo, hanno proposto alle opposizioni un governo di larghe intese. Tale opzione permetterebbe loro di rimanere saldamente al potere. I fratelli Rajapaska gestiscono infatti i due terzi delle risorse del Paese ed è questo il motivo per cui tentano ogni strada per non cedere sulla loro posizione di potere politico. Le opposizioni però si sono rifiutate di scendere a patti e ora la situazione appare ancor più confusa e di difficile risoluzione.

Cosa succede in Sri Lanka

Nel frattempo, in Sri Lanka la gente è costretta a fare code interminabili per la scarsità di cibo, carburante e medicinali essenziali. Le proteste salgono, la rabbia spesso sfocia in violenza, e il Paese si ritrova sull’orlo del default. La famiglia Rajapaska è attaccata da molti fronti: alle proteste degli avvocati, si sono accodate quelle dei medici che hanno denunciato l’imminente collasso del sistema sanitario nazionale.

La scorsa settimana anche le suore e i preti cattolici hanno evidenziato a loro modo il dissenso. In silenzio, mostrando cartelli con esortazioni al far cessare lo stato di polizia, al rispetto dei diritti umani e con accuse al governo di corruzione e brogli. Quello della corruzione, è anche un tema su cui ieri hanno riflettuto gli oratori della manifestazione in piazza Bra, argomento molto sentito ed esposto su gran parte dei cartelli agitati dai manifestanti.

Cartelli contro la corruzione dello Sri Lanka

Le proteste dei cittadini in Sri Lanka, purtroppo, sono state “sedate” dall’intervento della polizia con l’uso di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Negli scontri sono rimasti feriti una trentina di poliziotti ma non è stato reso noto il numero dei dimostranti feriti. Molti anche gli arresti e imposto il coprifuoco in alcune cittadine “calde”. Ferma però la reazione del governo, che mantiene la linea dura e non arretra sulle proprie posizioni. Alle forze dell’ordine è anche stato concesso l’arresto su due piedi di qualsiasi sospettato.

Quali sono le cause?

Non è stata solo la crisi pandemica a catapultare lo Sri Lanka in queste condizioni. Un corollario di circostanze ha aggravato tale situazione. A partire dalle dimissioni del presidente della banca centrale nel bel mezzo della crisi valutaria, e a seguire l’imponente emigrazione (soprattutto in Italia) e le serrate misure anti-Covid, hanno accelerato il declino. Dal primo di aprile si è aggiunto anche lo stato di emergenza, che ha acuito le violente proteste anziché placarle. A tutto ciò va aggiunto il controllo e il contingentamento delle scorte, che da un lato mira a impedire l’ascesa dell’inflazione (evitando l’accumulo delle scorte da parte dei commercianti) ma dall’altro sottopone la popolazione, fino a qualche anno fa mediamente benestante, al razionamento.

Con i suoi 22 milioni di abitanti, lo Sri Lanka si trova ad aver accumulato un debito pari al 119% del PIL e trovarsi sull’orlo del baratro per l’impossibilità di onorarlo. È anche debitore verso l’FMI, per il prestito ricevuto l’anno scorso per far fronte ai disagi dovuti alla pandemia. L’India ha ora offerto sostegno, aprendo un canale di credito di oltre 2,5 miliardi di dollari. Tali fondi dovranno essere destinati principalmente all’acquisto di beni primari, quali cibo, farmaci e carburanti. Rajapaksa ha chiesto anche alla Cina di rinegoziare i prestiti in essere, per poter aggiungere la cifra di circa 3,5 miliardi.

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