La fantascienza è una cosa seria. Sicuramente lo è per Denis Villeneuve, che ne esplora potenzialità e limiti nella sua terza incursione nel genere dopo Arrival (2016) e Blade Runner 2049 (2017).

Denis Villeneuve è quell’autore al quale, al termine della visione di uno qualsiasi dei suoi film, non puoi che dire «Oh, meglio di così nessuno avrebbe potuto farlo!». E questo vale anche per il criticato sequel del classico di Ridley Scott. Se non si fosse capito, da queste parti Villeneuve è molto stimato, giusto per mettere subito in chiaro le cose.

L’onere del quale si è fatto carico il regista è pari, forse, a quello che si prese il buon Peter Jackson con l’epopea fantasy de Il Signore degli Anelli a partire dal 2001. Ecco, diciamo che entrambe le saghe erano rimaste, per molti appassionati, impossibili da portare al cinema in modo decente per tanti, tantissimi anni fino a che non sono arrivati questi due dotatissimi fan.

Una storia già finita sugli schermi (ma con poco successo)

Ormai avrete letto ovunque che la storia di Dune ha origine dai sei romanzi che Frank Herbert scrisse tra il 1965 e il 1985, che negli anni Settanta Alejandro Jodorowsky provò inutilmente a farne un film visionario con Mick Jagger, Orson Welles e Salvador Dalí affidandone la colonna sonora ai Pink Floyd. Ma anche saprete che nel 1984 David Lynch la portò sul grande schermo con non poche ingerenze da parte del produttore De Laurentiis e con risultati fin troppo confusi. Infine, nel 2000 ne uscì anche una discutibile versione televisiva di 275 minuti, suddivisa in tre episodi.

Il Photocall di Dune: da sinistra, Javier Bardem, Zendaya, Rebecca Ferguson, Denis Villeneuve, Timothée Chalamet, Oscar Isaac e Josh Brolin, foto Biennale di Venezia.

A mettere d’accordo tutti, finalmente, ecco che arriva Villeneuve che racconta, senza mai alcun cedimento, malgrado i 155 minuti di durata, la prima parte della storia (quindi siete avvisati: quando appariranno i titoli di coda non sono ammesse lamentele per la mancanza di un vero e proprio finale). 

La maestosità della messa in scena è ben gestita e trova il giusto equilibrio con la parte più interiore e profonda dei personaggi, in primis ovviamente quella del protagonista interpretato dal convincente e carismatico Timothée Chalamet, con boccoli tirabaci annessi.

Potrei ancora parlarvi della bellezza di questa pellicola e del perché dovreste correre al cinema salutandola come il nuovo grande ritorno in sala di questa stagione (speriamo più fortunata delle precedenti), ma vi chiedo anticipatamente di perdonarmi: il film mi è piaciuto davvero tanto tanto tanto (e se avete letto altre recensioni positive sappiate che sottoscrivo tutto). Tuttavia, non riesco a esimermi da alcune considerazioni che, durante la visione in sala, mi si accumulavano nel cervello una dietro l’altra un po’ alla rinfusa, come spesso mi accade malgrado il coinvolgimento emotivo pressoché totale per la storia.

Villeneuve cede al gioco delle citazioni

Con la dovuta premessa che qualsiasi film, specialmente se “di genere”, lo si può tanto esaltare quanto demolire in due mosse, ecco qualche nota a margine. I buoni sono bellissimi e tutti, fuorché Chalamet, hanno partecipato a svariati blockbuster, dai supereroi della Marvel a quelli della DC Comics, dalla saga di Star Wars a quella di Mission: Impossible. Perciò, la mossa della produzione per attirare il pubblico più giovane non dev’essere poi così tanto casuale.

Tralasciando per un attimo la base letteraria di partenza, pensate a cosa sarebbe stato Dune con alcuni momenti leggeri e divertenti e con più scene d’azione. E poi pensate a cosa sarebbe stato Star Wars senza i momenti leggeri e divertenti e con meno scene d’azione (Lucas “copione” o, semplicemente, le storie di casate in conflitto, di tradimenti, guerre per il potere e bla bla bla sono sempre quelle da secoli, con buona pace di Shakespeare & Co.).

Il regista ama visceralmente Paul Atreides/Timothée Chalamet, e lo dimostra regalandogli ispirati primi piani al rallentatore al limite dello stucchevole, ma per sua fortuna l’attore ha il giusto carisma per riempire lo schermo, un po’ come tutto il resto del cast decisamente azzeccato malgrado le considerazioni di cui sopra. Forse per non incappare in divieti che ne avrebbero minato i risultati al botteghino, si sceglie di non mostrare la violenza, il sangue, gli sbudellamenti che rimangono sempre fuori campo, il che, nel 2021, e da un autore che ci regalò Prisoners, sembra una spiacevole autocastrazione solamente ben calcolata.

Villeneuve non è il classico regista “sborone” che ama sembrare più di quello che è e, forse, è anche per questo che lo si ama. Però, al giochino delle citazioni cinefile ci casca anche lui, Barone-Kurtz di Apocalypse Now su tutte. Gli attesi vermi della sabbia ad un certo punto arrivano, con un look più “bucoculiforme” rispetto a quelli artigianali realizzati dal nostro Rambaldi nel 1984, ma meno inquietanti e minacciosi.

Questo Dune, infine, rivela al mondo il perché Jason Momoa lo abbiamo sempre visto con la barba.

Sciocchezzuole a parte, Dune è grande sforzo produttivo al quale è difficile trovare dei veri difetti, a patto di accettare che stiamo assistendo a un tosto film di fantascienza, con alle spalle dei romanzi difficili da tradire per la complessità di quanto narrato e che meglio di così nessun altro regista avrebbe potuto farlo.

Voto: 4/5

Regia di Denis Villeneuve, con Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Oscar Isaac, Josh Brolin, Stellan Skarsgård, Jason Momoa, Zendaya e Dave Bautista.

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