Domani, lunedì 13 settembre, alle ore 20.30, al Cinema Nuovo a San Michele Extra secondo appuntamento della rassegna veronese “Mondovisioni” di Internazionale con The Fever il documentario della regista Katharina Weingartner che indaga su quei poteri e interessi – organizzazioni internazionali, filantropia e multinazionali farmaceutiche – che da anni gestiscono, “l’affare malaria”, la più grande emergenza sanitaria che affligge il continente africano. 

Nonostante sia una delle malattie per cui vengono investiti più soldi in ricerca, la malaria in Africa continua a provocare più vittime di tutte le altre malattie e guerre del nostro pianeta messe insieme.

Secondo il World Malaria Report 2020 dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – che riporta i dati relativi al 2019 –  il numero di casi totali è stato stimato intorno ai 229 milioni, con circa 409 mila decessi. Di tutti questi casi circa il 94% provengono dal continente africano. Nelle aree ad alta trasmissione di malaria, i bambini sotto i 5 anni sono particolarmente suscettibili all’infezione, a sviluppare la malattia in forma grave e alla morte. Più di due terzi (67%) di tutti i decessi per malaria si verificano, infatti, in questa fascia di età.

Katharina Weingartner – regista e produttrice radiofonica, attualmente residente a Vienna, dopo molti anni passati a New York – nel suo docu-film, indaga i diversi aspetti e le varie soluzioni messe in atto per combattere la malaria. In particolare, osservando come, nonostante i moltissimi progetti sviluppati per sconfiggere la malattia, in alcuni Paesi – specie India, Africa e sud-est asiatico – questa non è ancora stata debellata.

La locandina di The Fever, domani visibile al Cinema Teatro di San Michele all’interno della rassegna Mondovisioni di Internazionale.

Il documentario si chiede cosa accadrebbe se una semplice pianta medicinale, economica e facilmente coltivabile, fosse in grado di placare il parassita della malaria? La praticante alternativa Rehema Namyalo, il biologo Richard Mukabana e il farmacologo Patrick Ogwang si affidano all’Artemisia annua, una pianta del cui principio attivo è già stato ampiamente usato dall’industria farmaceutica nei preparati contro la malaria. Questa soluzione, locale ed economica, però sembra non riscontrare grande successo. I tre ricercatori, infatti, incontrano una feroce resistenza da parte delle aziende farmaceutiche e un grande scetticismo da parte dei loro stessi governi. Nemmeno l’Oms pare essere intenzionata a sostenere i loro sforzi.

Ma come è nata l’idea per questo documentario? «Durante un viaggio a Saigon – racconta Weingartner – ho trovato un passaggio nella guida turistica sull’artemisia annua, una pianta: diceva che si trattava di un rimedio cinese contro la malaria a base di erbe, e che avrebbe potuto essere la ragione per cui il Vietnam aveva vinto la guerra. Se è vero, ho pensato, è un buon soggetto per un film.

All’inizio ci interessava soprattutto il rapporto tra medicina tropicale e guerre di conquista coloniali: la colonizzazione dell’Africa sarebbe stata possibile anche senza il più antico farmaco contro la malaria, il chinino? Soldati, missionari e contadini europei morirono in gran numero, mentre gli abitanti locali erano immuni fin dai cinque anni: era come se il parassita fosse un’importante difesa contro gli invasori. Ma vecchi schemi post-coloniali si trovano ancora oggi in molti documentari, in cui l’Africa è usata solo come sfondo. Con un tema così complesso, la tentazione poteva essere concentrarsi su scandali e interessi globali, ma le persone colpite dalla malaria sarebbero state ancora una volta viste come vittime e statistiche.

È assurdo che il 90% del denaro per la ricerca rimanga in Nord America e in Europa, quando il 90% dei casi reali della malattia si trovano nell’Africa sub-sahariana. Le persone colpite non hanno voce, e gli vengono negate le medicine di cui hanno bisogno. Per noi era importante che i nostri protagonisti, che devono vivere tutta la vita con i parassiti della malaria, si presentassero come persone autonome, che intendono e sono in grado di combattere la malattia da soli.»

A presentare la serata di domani a San Michele, Stefania Berlasso, collaboratrice di Heraldo, che dialogherà in sala con Lucia Dal Negro, fondatrice di De-Lab, società benefit che si occupa di business inclusivo.

«Gli investimenti nei Paesi in via di sviluppo sono spesso associati a concetti quali lo sfruttamento della manodopera, la corruzione, la distruzione delle risorse naturali – spiega Lucia Dal Negro –. Esistono anche altri modi di fare impresa nel Sud del mondo. Uno di questi, al confine con la cooperazione allo sviluppo, si chiama business inclusivo e si basa sul coinvolgimento dei locali nella fase di progettazione, realizzazione e distribuzione del prodotto, quest’ultimo pensato ad-hoc per le esigenze del mercato locale. Innovazione e inclusione si fondono dando vita a opportunità di crescita per i locali e per le imprese.»

Con questo approccio De-Lab ha realizzato in Uganda Kokono™ per proteggere neonati da urti accidentali, zanzare malariche e soffocamento, e di cui racconterà Dal Negro dopo la proiezione.

Mondovisioni a Verona continuerà – il 20 e il 27 settembre – con le proiezioni di We Hold The Line, un’agghiacciante denuncia del regime di Rodrigo Duterte nelle Filippine e una celebrazione del coraggio della giornalista Maria Ressa, e di Hong Kong Moments, un articolato ritratto della metropoli asiatica al tempo delle proteste contro la stretta governativa cinese.

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