Circa un anno e mezzo fa Patrick Zaky veniva arrestato dopo essere atterrato a Il Cairo da un volo proveniente dall’Italia. Le accuse mosse contro di lui (minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di notizie false e propaganda per il terrorismo) hanno permesso ai servizi segreti egiziani di prenderlo in custodia senza prove e senza un processo. Questo procedimento legale, conosciuto come “detenzione preventiva” o “detenzione amministrativa”, è un espediente giuridico fortemente contrario alla Carta dei Diritti dell’Uomo praticato in molte aree del mondo, tra cui Nord Africa e Medio Oriente. In teoria permette a un governo di incarcerare chiunque sia sospettato di attività di terrorismo o minacce per la difesa anche in totale assenza di prove. In sostanza, nella maggior parte dei casi, viene utilizzato per punire crimini ideologici e sfoltire le fila dell’opposizione politica.

Il Presidente egiziano Al-Sisi

Abdel Fattah Al-Sisi, capo dell’intelligence dell’ex presidente Mubarak formatosi nel Regno Unito e negli USA, prende il potere in Egitto in seguito al colpo di stato del 2013, rovesciando il governo democraticamente eletto dei Fratelli Musulmani. Questo golpe, comandato dai vertici militari del Paese, fu subito ben visto dalla comunità internazionale. La caduta del governo islamico di Muhammad Morsi, nato in seguito alla Primavera Araba, non offriva sufficienti garanzie di controllo a differenza di una dittatura militare. Gli Stati Uniti in particolare, terrorizzati da un governo musulmano, non hanno mai riconosciuto il passaggio di poteri ottenuto con la forza. Questo piccolo accorgimento formale è stato fondamentale al fine di varare un finanziamento di circa 1,6 miliardi all’anno per il neo-governo di Al-Sisi, potenziale alleato nella regione: la Costituzione americana, infatti, non permette di finanziare un governo che non sia stato democraticamente eletto.

L’inizio della carriera presidenziale del generale offre subito una prospettiva definita di quale sarà il modus operandi del governo. Nel luglio 2013 i sostenitori del Presidente appena deposto scendono in strada per protestare contro l’aggressione e chiedere che l’esercito si faccia da parte. Il 14 agosto, in risposta alla massiccia presenza di persone in piazza Rabi’a, le forze di polizia iniziano a sparare sulla folla e in un solo giorno vengono uccise circa 1.000 persone e altre 3.500 rimangono gravemente ferite. Forte dell’appoggio di Paesi appartenenti alla Lega Araba quali l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, Al-Sisi inizia a promulgare leggi con l’obiettivo di aumentare l’influenza e la leadership dell’esercito. Grazie alle elezioni pilotate tenutesi nel 2014, governa per quattro anni sull’Egitto, segnati da violente repressioni, controllo dei mass-media, censura, persecuzione dei membri dell’opposizione e violazione della libertà di stampa. Incrementa a dismisura il distacco tra popolazione e lo Stato (magistratura, esercito, istituzioni). Dal 2014 al 2018, sotto il suo mandato, sono stati incarcerati circa 60 mila avversari politici e intellettuali accusati di crimini ideologici. Ad oggi il Paese del Nilo è terzo nel mondo per giornalisti incarcerati, preceduto da Cina e Turchia.

Carceri egiziane

Nel 2018 la dittatura militare indice nuove elezioni per sostenere una parvenza di democrazia. Gli oppositori politici tuttavia capiscono subito di cosa si tratta e molti si rifiutano di candidarsi. I pochi sfortunati che invece decidono di farsi avanti subiscono tutti la medesima sorte. Ahmad Shafik, ex generale dell’aeronautica, dopo aver annunciato la sua candidatura con un video messaggio su Al-Jazeera, si è ritirato dalla corsa pochi giorni dopo, in seguito a minacce pubbliche contro la sua famiglia, sostenendo di non essere la persona adatta per guidare l’Egitto; Sami Anan, ex comandante in capo dell’esercito, dopo aver annunciato la sua candidatura sui social si ritira in seguito a un tentativo di assassinio ai suoi danni; Ahmad Konsowa, colonnello dell’esercito a cui è stato rifiutato il congedo militare undici volte, dopo aver pubblicato un video di 22 minuti nel quale dichiarava di volersi proporre per sfidare lo stallo politico, è stato incarcerato per sei mesi con l’accusa di aver pubblicamente “espresso idee contrarie ai principi dell’esercito”. Questi sono solo alcuni dei casi più conosciuti, ma non sono i soli. Molti altri oppositori politici non hanno fatto nemmeno un tentativo. Quando si sono resi conto che tra l’annuncio del Presidente di voler indire nuove elezioni e il termine ultimo per candidarsi c’erano solo due settimane di tempo, il fine ultimo di quella messinscena è divenuto palese. Almeno un candidato, però, alla fine si è fatto avanti: quindici minuti prima che scadesse il lasso di tempo concesso Moussa Mustafa Moussa si è candidato contro Al-Sisi. Peccato, però, che sia lui che il partito liberale di cui si faceva portavoce avevano sostenuto la rielezione di Al-Sisi fino a pochi giorni prima della sua candidatura, accolta con derisione e scherno dal popolo egiziano. Il Presidente uscente ha quindi ottenuto il secondo mandato sconfiggendo il candidato fantoccio in una delle elezioni più fasulle della storia. Tanto ridicole che il calciatore del Liverpool Mohammed Salah (che ovviamente non era un’opzione) ha ottenuto il 6% dei voti contro il 3% dell’unico oppositore, in uno spoglio che ha contato un’affluenza alle urne di meno della metà degli aventi diritto di voto. L’anno seguente la Costituzione è stata cambiata in modo da istituzionalizzare l’intervento unilaterale delle forze armate nella politica del paese.

Patrick Zaky

Alla luce di tutto ciò non sorprende minimamente quanto capitato a Giulio Regeni e a Patrick Zaky. Pochi giorni fa, il 14 luglio 2021, la detenzione del ricercatore egiziano, incarcerato un anno e mezzo fa, è stata estesa per ulteriori 45 giorni. Dal 2019 Zaky, ora trentenne, viveva in Italia studiando presso l’università Alma Mater di Bologna e collaborando con Egyptian Initiative for Personal Rights (EIPR) portando avanti delle ricerche sui diritti umani e gli studi di genere. Nel febbraio 2020 ha fatto ritorno in Egitto per far visita alla famiglia, un viaggio rivelatosi fatale. Appena atterrato è stato preso in consegna dai Muhabarat (Servizi segreti egiziani) e da allora è detenuto in condizioni di miseria con l’accusa di propaganda sovversiva, dimostrata da alcuni presunti post pubblicati su Facebook. Recentemente il Parlamento italiano ha approvato una legge per concedere la cittadinanza a Patrick Zaky (208 voti favorevoli e 33 astenuti del gruppo di Fratelli d’Italia). Iniziativa dal quale il presidente Draghi ha preso le distanze, spiegando che attualmente il governo non è coinvolto.

Una delle tante manifestazioni organizzate a Verona da Amnesty Internazional per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla detenzione di Patrick Zaky

Nel Bel Paese molte persone, sia all’interno che all’esterno della politica, iniziano a spazientirsi per il comportamento remissivo dello Stato italiano nei confronti di quello egiziano. Che sia per gli interessi nazionali nel campo degli idrocarburi (ENEL), per lo spauracchio di opporsi a un governo caldeggiato dai potenti alleati d’oltre Atlantico o per altri ragioni, sembra proprio che nel prossimo futuro non si vedrà né giustizia per Giulio Regeni né libertà per Patrick Zaky.

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