Ci eravamo lasciati sul rettilineo di Corso Porta Nuova a Verona con un Fernando Gaviria funambolo a sprintare senza sella – incredibile 5° al traguardo – e proprio alla vigilia della fatidica salita dello Zoncolan. Da lì in poi è successo molto, ma forse meno di quello che l’equilibrio in campo tra i favoriti della Corsa Rosa avrebbe suggerito.

Partendo dall’arrivo della tappa conclusiva del Giro a Milano, Filippo Ganna, ancora una volta, ha dimostrato di essere il più forte a cronometro, ma il mantovano Affini, alla fine terzo alle spalle del francese Rèmi Cavagna, è oramai sulle sue orme e lo marca stretto. Il verdetto più importante, però, è che Egan Bernal ha conquistato il Giro d’Italia 2021 (voto 8, media di un 10 fino a Cortina, 6 fino a fine corsa). Il colombiano ha vinto da favorito, alternandosi tra gli impeti del grimpeur talentuoso (vedasi sul Giau ndr) e tra i tanti momenti interpretati da ragioniere d’azienda, ben coadiuvato dai propri fidati collaboratori (10 alla Ineos Granadiers). Tutto sommato, Bernal non è mai stato nemmeno una volta vicino al perdere la vittoria finale e questo legittima ampiamente il suo ingresso nell’albo d’oro della corsa.
Simon Yates, viceversa, era l’avversario più in forma e più accreditato alla vigilia, ma si è rivelato ancora una volta troppo discontinuo per vincere una grande corsa a tappe (voto 5,5 per un podio agrodolce, sarà eterno incompiuto?). Alexandr Vlasov era il nome nuovo, ciclista in ascesa e pronto al successo di prestigio, ma si è disgregato a ogni tappa importante, senza mai far veder un colpo di pedale adatto al bisogno (voto 5, esploderà, forse, non per ora).

Un’unica vera e grande insidia per Bernal è arrivata sul finire delle tre settimane dall’uomo da cui meno ci si attendevano colpi di mano. Damiano Caruso, fedele gregario di Mikel Landa – poi caduto – e anche di Pello Bilbao – già quinto al Giro 2020 – si è ritrovato in classifica senza quasi nemmeno farci caso, concludendo la corsa sul secondo gradino del podio. Basterebbe questo grande e per lui inaspettato piazzamento per raccontare una delle storie più belle del ciclismo, ma il nostro portacolori ha fatto ben di più. Nonostante la nomea di regolarista e di uomo dai pochissimi successi personali, nelle ultime tappe ha attaccato pure Egan Bernal, sperando in qualche cotta improvvisa del rivale. Prima ci ha provato senza fortuna in salita nella terzultima tappa, poi in discesa alla penultima. Se nel primo caso ha terminato con la soddisfazione di non aver lasciato nulla di intentato, ma senza gratificazione alcuna in termini di classifica, nel secondo caso, invece, ha provato davvero a far saltare il banco, portandosi comunque a casa la tappa e il secondo posto finale. Ciò che è piaciuto particolarmente è stato proprio lo spirito non conservativo che ha animato il portacolori della Bahrain Victorious. Voto 10 dunque a Damiano, per la gamba e per la lucidità con cui ha corso in un ruolo per lui non abituale, per l’equilibrio con cui ha affrontato ogni momento in gruppo, per il fatto di essere un bel personaggio, di quelli da promuovere e da valorizzare. Un campione vero, anche se con un palmares da “normale” ciclista professionista.

Un’immagine della tappa arrivata a Verona

Non ci fosse stato questo Caruso, il Giro si sarebbe stancamente trascinato a Milano, tra molte fughe arrivate al traguardo e nessun vero e proprio rivale di un Bernal sano a sufficienza per gestirsi fino a Milano, con un tracciato di corsa bello, con tanti arrivi in salita, ma dal quale forse ci si poteva aspettare di più. Non ci fosse stato Caruso, l’Italia avrebbe gioito di singole giornate di gloria dei propri alfieri (Alberto Bettiol, voto 7,5, su tutti, ha vinto una tappa bellissima e incerta fino all’ultimo), ma senza velleità di classifica. Davide Formolo era forse all’ultimo tentativo per provare a dimostrarci di essere corridore da lunghe corse a tappe (voto 4, non lo è e non è mai nemmeno stato vicino a successi di giornata), Giulio Ciccone è stato in classifica fino ad una rovinosa caduta, ma avrebbe chiuso nei primi 10, difficilmente nei primi 5 (voto 6,5), Fausto Masnada si è visto poco prima del ritiro (senza voto), Vincenzo Nibali ha chiuso con sacrifici enormi e molti acciacchi un Giro che è sembrata più una generosa passerella per la sua ultima apparizione da capitano che un tentativo di lasciare il segno (voto 6 per la professionalità e la fedeltà al Giro). Il nome nuovo in casa Italia è quello di Lorenzo Fortunato, vittorioso sullo Zoncolan, giornata speciale per lui, ma soprattutto capace di stare spesso alla ruota dei migliori in salita anche nelle ultime tappe. Suo malgrado, l’atleta bolognese è stato protagonista di uno degli episodi più brutti del Giro con un tifoso che ha rischiato di buttarlo a terra proprio sulle dure rampe della famosa cima delle Alpi Carniche. Premesse le scuse del tifoso, arrivate nel giorno successivo e quanto mai opportune, il fatto che sia stato avviato un procedimento di Daspo nei suoi confronti è notizia che conforta e che si spera dissuada in futuro un comportamento da troppi anni tollerato sulle strade del Giro d’Italia e non solo.
Infine, una riflessione sulla tappa regina del Giro, decurtata di Passo Fedaia e Passo Pordoi. Al riguardo si è detto di tutto, e chiunque ha espresso la propria opinione. Quel che sconvolge è che, a parole, nessuno volesse la riduzione del percorso, nemmeno Mauro Vegni, supremo direttore della Corsa Rosa. Come al solito, in questi casi, torti e ragioni non sono facili da attribuire, così come è estremamente difficile prendere decisioni che hanno a che fare con la salute dei corridori e che devono tenere conto del fattore tempo e di complessi problemi logistici. A essere prudenti non si sbaglia mai, e forse è ciò che Vegni ha pensato nel prendere la decisione. Semmai si è sbagliato tante volte in passato, non solo nel ciclismo. Rimane il fatto che il taglio della tappa dolomitica sia stato un danno enorme per il Giro e che probabilmente, a ben vedere, si sarebbe potuta disputare completa senza un eccesso di rischi.

Pillole dal Giro

– Col mal di schiena il sig Rossi della Val Padana guarda i rulli dal divano passando in cucina col girello, Bernal amministra la corsa usando la stampella, Ganna a sinistra e Puccio a destra;
– Simon Yates dice di brillare col sole. Lo aspettano al Tour tra la Camargue e la lavanda provenzale a luglio inoltrato;
-Bernal non manca mai di ringraziare i compagni per il lavoro svolto. Per forza! Se non lo facesse, il team Ineos lo manderebbe al confino a pedalare nelle piane siberiane. D’inverno;
– Nei grandi giri le fughe non arrivano più. Ecco, appunto. Solo che Daniel Martin non lo sa;
– Peter Sagan punito per intimidazione al gruppo. In confronto, Armstrong con Simeoni era da sedia elettrica;
– Il transito sul Giau è stato uno spettacolo! Mai viste telecamere fisse all’arrivo di Cortina più coinvolgenti di così;
– Mauro Vegni toglie Fedaia e Pordoi dal tracciato, scontentando tutti, pure sé stesso. Il boicottaggio della Morbegno-Asti 2020 ha lasciato strascichi ben al di là delle dichiarazioni belligeranti della prima ora;
– Domande esistenziali: c’è un professionista in gruppo che non viene dalla Mtb o dal ciclocross?
– Le grandi salite come lo Zoncolan sono lo spettacolo del ciclismo. E la volata di Verona con Gaviria senza sella? E la tappa di Stradella con scatti e contro scatti tra i fuggitivi come ad una classica di primavera?

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