Il lavoro è motore di vita. Ci permette non solo di rispondere adeguatamente ai bisogni primari, ma ci consente di esercitare le nostre abilità e competenze, di aumentare il senso di appartenenza e il senso di autoefficacia. Ci dà la possibilità di costruire la nostra autostima. Perché il lavoro è anche riconoscimento di un valore da parte della società.

E in questa pandemia il lavoro sembra essere diventato ancora di più una parte fondamentale di ciascuno di noi, nel bene e nel male. Infatti spesso il lavoro non ha più avuto confini, né tempi, né purtroppo possibilità. Ci siamo trovati costretti a lavorare da casa, privati di una libertà di movimento, con interazioni sociali limitate e con un forte incremento delle ore di impiego.

Abbiamo, e stiamo, facendo i conti con l’incertezza, perché c’è chi non ha più un posto di lavoro e chi teme di perderlo nei prossimi mesi. C’è chi ha visto diminuito il proprio reddito, facendo i conti con l’ansia e alcune emozioni come vergogna e senso di colpa.

Abbiamo viste limitate le nostre possibilità, respirando la frustrazione per non poter realizzare quello che ci consente di dare senso, il nostro lavoro appunto, e la paura per il futuro.

L’attuale situazione lavorativa non è soltanto un’emergenza economica, ma anche psicologica. Perché il benessere è il risultato di un’interazione tra individuo e contesto. E la pandemia da Covid-19 ha fatto crescere i sintomi da stress post-traumatico, mostrando difficoltà a dormire, ansia e difficoltà di concentrazione. Se però questa situazione dovesse prolungarsi ulteriormente, nell’ambito lavorativo potrebbe aumentare il rischio di burnout.

Con il termine burnout si fa riferimento ad una forma di esaurimento emozionale, a una depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali. Significa pertanto perdita di interesse, crollo del senso di appartenenza comunitario, assenza di fiducia, atteggiamenti spiacevoli e calo dell’autostima.

In questo anno abbiamo cambiato il nostro modo di lavorare e i cambiamenti molte volte possono comportare delle ripercussioni negative, talvolta arrivando a generare reazioni emozionali disfunzionali. L’impossibilità di mantenere il proprio stile di vita infatti ci ha e ci sta obbligando a fare i conti con emozioni complesse e difficili da affrontare, ci sta facendo riscontrare un incremento della fatica percepito durante lo svolgimento della nostra attività, ci ha e ci sta mettendo di fronte a metodiche di lavoro altamente stressanti, oltre le nostre aspettative.

Tutto questo significa, in termini psicologici, sintomi depressivi, apatia, mancanza di energie, difficoltà del sonno e ansia.

Tali reazioni emotive hanno infine cambiato anche il nostro comportamento lavorativo, perché le difficoltà a livello psicologico hanno un impatto anche sullo sviluppo economico.

Allora un augurio che vorrei farmi per il Primo maggio è che ci possa essere, oggi ancora di più, una maggior attenzione alla salute psicologica sia dei propri dipendenti che collettiva e che il lavoro possa mirare a significare per noi sicurezza. L’augurio di oggi, ma anche per il nostro domani.