Dopo un anno di purgatorio fatto di chiusure, limitazioni della libertà personale e occhiali appannati, era legittimo attendersi che l’opinione pubblica avrebbe accolto l’avvento dei vaccini per il Covid-19 con l’entusiasmo della liberazione, con la gioia lacrimosa che accompagna la fumata bianca, con la calca impaziente delle folle per porgere l’altro braccio all’iniezione che significa redenzione! Halleluja!

E invece niente. I centralini del piano vaccini sono tempestati di disdette da parte di insegnanti, agenti di polizia, persino operatori sanitari che rifiutano la salvezza. Eppure la descrizione liturgica dell’arrivo delle prime dosi allo Spallanzani di Roma è stata fatta perfettamente, con i servizi dei telegiornali che seguivano i furgoni bianchi come la Papamobile o la salma di Padre Pio, la consegna dell’ampolla – pardon – della fiala al candido primario, le immagini dei primi vaccinati con gli occhi lucidi, toccati dalla grazia. 

Cos’è andato storto? Cosa ha eroso la fiducia degli italiani? Come possiamo ricostruirla? Ma soprattutto: la fiducia va creata o guadagnata?

È opportuno interrogarsi prima di tutto su cosa sia effettivamente la fiducia e da cosa dipenda.  

Il sociologo britannico Anthony Giddens, nel 1990, ha fatto ciò che amano fare i sociologi: prendere un concetto e aprire il cofano per vedere cosa c’è dentro. Nel cofano della fiducia Giddens ha trovato alcuni aspetti fondamentali che possiamo senz’altro osservare all’opera nella spinosa situazione in cui abbiamo la sventura di trovarci.

In primo luogo «la fiducia è collegata all’assenza nel tempo e nello spazio. Infatti, non ci sarebbe necessità di ricorrere alla fiducia in un sistema di conoscenza e competenza diffusa». In secondo luogo «la fiducia è legata alla situazione contingente. L’ampia fiducia che i cittadini ripongono nella scienza, infatti, è da ricondursi alle attribuite capacità di risolvere (spesso attraverso la tecnologia) problemi connessi alla vita quotidiana». Infine fiducia «significa confidare nell’affidabilità di una persona o di un sistema in relazione a una determinata serie di risultati o di eventi». (fonte:https://journals.openedition.org/qds/3666)

Il primo aspetto ha a che fare con l’essenza della fiducia, la quale sarebbe legata indissolubilmente all’assenza. Vale a dire che ti fidi di quello che non sai o non puoi toccare, perché se potessi verificarlo di persona non ci sarebbe bisogno di fidarsi. E fino a qui il lavoro è facile: la maggior parte degli italiani non sa nulla di vaccini e si dovrebbe fidare di chi ne sa. Lineare. 

Il secondo e il terzo, però, sono più problematici. Come può il cittadino medio valutare i risultati della comunità scientifica nella vita quotidiana, senza avere un metro di giudizio competente? Da una parte potremmo celebrare le magnifiche sorti e progressive che ci hanno regalato vaccini a tempo di record, dall’altra è legittimo, per il cittadino digiuno di conoscenza scientifica, lamentarsi di una condizione di reclusione rimasta di fatto invariata in un anno, dal lockdown alla zona rossa.

Se gli italiani dovessero basarsi esclusivamente sulla propria esperienza personale, potremmo forse biasimare la scarsa fiducia nelle istituzioni (anche scientifiche) di chi da un anno non può lavorare? O di un insegnante costretto dopo un anno alla didattica a distanza? O a un infermiere che ha visto il proprio reparto decimato dai tagli alla sanità e ora deve rischiare la pelle?

Si potrebbe obiettare che queste giuste rimostranze non hanno nulla a che fare con i vaccini, anzi, proprio la vaccinazione rappresenta la più rapida delle vie d’uscita da questa maledetta situazione. 

Ma qui si parla di fiducia.

Secondo una ricerca svolta dal Pew Research Centre sulla popolazione USA, l’83% del pubblico afferma di fidarsi dei consigli scientifici forniti da un medico e da un infermiere, mentre solo il 55% ha dichiarato di fidarsi delle informazioni scientifiche provenienti da una fonte governativa.

Questo dimostra chiaramente che la fiducia nella scienza e quella verso le istituzioni politiche sono strettamente collegate, specialmente quando i politici parlano così tanto di scienza e gli scienziati si presentano al pubblico fianco a fianco con i politici. 

In altre parole, nel mondo dell’informazione globale e pervasiva, chi comunica e come lo fa sono elementi importanti quanto (o più) dei risultati di cui parlava Giddens. 

Da qui il dibattito acceso sul sensazionalismo degli ultimi giorni riguardo alla difficilissima questione AstraZeneca. È giusto che i giornali italiani diano così tanto risalto a notizie dall’impatto potenzialmente devastante sulla campagna vaccinale?

Idealmente i giornali dovrebbero riportare fatti, ma la scelta di questi fatti e la loro interpretazione rappresentano una responsabilità enorme.  

È un fatto che alcune persone abbiano sofferto di trombosi ed embolie dopo (e non per) aver ricevuto il vaccino. 

È un fatto anche che alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, abbiano sospeso la distribuzione di AstraZeneca in via precauzionale. 

È un fatto che il vaccino AstraZeneca non fosse consigliato agli anziani. 

È un fatto che non si sappia nulla sugli effetti a lungo termine dei vaccini anti covid, ma anche che tutti i vaccini hanno passato tutti i test necessari.

È un fatto che i fornitori di vaccini non si siano dimostrati affidabili e trasparenti in tema di contratti e forniture, ma anche che le istituzioni europee hanno reagito con durezza alle speculazioni.

È un fatto che l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) debba ai contributi delle case farmaceutiche l’86% dei suoi finanziamenti.

Tutti questi sono fatti, fatti che messi in fila potrebbero ragionevolmente demolire la fiducia dei lettori verso chi dovrebbe prendersi cura di noi e farci uscire da questa situazione. Forse i giornali dovrebbero evitare di renderli noti?

La delicatezza di queste informazioni e il loro possibile effetto distruttivo sull’opinione e sulla sanità pubblica obbligano chi informa a un approccio equilibrato e onesto, senza nascondere ma senza terrorizzare, accompagnando la comunicazione istituzionale ma senza negare le criticità. Su questo equilibrio si poggia la responsabilità della stampa.

Tutto il resto è compito dell’istituzione. Istituzione che deve dimostrare coi fatti la serietà che vuole gli sia riconosciuta, che deve assicurare solidità nel momento dell’incertezza, che dev’essere risoluta, realistica e ragionevole quando indica la direzione da prendere. 

Al contrario, dopo giorni di rassicurazioni da parte del governo e di numerosi scienziati sulla totale assenza di rischi per il vaccino di Oxford, arriva la decisione dell’ Agenzia Italiana del Farmaco di sospenderne completamente l’utilizzo. È l’ennesimo esempio di una comunicazione ondivaga e incerta: vero motivo della sfiducia dilagante.

Lo strappo nel rapporto di fiducia tra gli italiani e le istituzioni non si è certamente aperto con l’affaire AstraZeneca, ma è vitale per tutti noi che venga ricucito il prima possibile con l’ago e il filo della trasparenza e della competenza. 

Perché la fiducia va guadagnata.

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