L’abito buono per l’occasione. La politica della Lega (fu Nord), fin dai tempi di Umberto Bossi, si può racchiudere in questa massima. Quindi niente di sorprendente nel vedere il “sovranista” Matteo Salvini virare di netto e sposare l’icona dell’europeismo finanziario: quel Mario Draghi che lo stesso Salvini nel 2017 definiva “un italiano complice di un’Unione europea che vuole massacrare gli italiani”. Altri tempi, si dirà.

Del resto, dicevamo, il “mutar pelle” alla bisogna è sempre stata la caratteristica del Carroccio, non a caso primo partito post-ideologico nato in Italia, ancora ai tempi della Prima Repubblica, padre del “nichilismo” politico, che non credendo fondamentalmente in niente (la mancanza di ideologia appunto) può adattarsi a tutto da un secondo all’altro. Inoltre la Lega ha sempre adottato lo stesso ed eterno metodo nell’agone politico: essere sia “di lotta” che “di governo”; forza del sistema (e pienamente incistata nei suoi gangli) che si atteggia ad “antisistema”. È questa immutabile ambiguità la sua forza: l’arte della dissimulazione, una sola finta (come Garrincha) capace però di spiazzare l’avversario, questa volta Zingaretti che già sognava una “maggioranza Ursula” con Forza Italia ma senza i “sovranisti”.

Ci ricordiamo i cambiamenti repentini di rotta di Bossi: da “manettaro” durante Tangentopoli a ipergarantista dopo, quando al potere c’era lui; dal tricolore che serviva a pulirsi il deretano al giuramento sulla Costituzione da ministro; dal Va Pensiero come inno padano alle canzoncine neomelodiche napoletane canticchiate in un dopo Festival da Bruno Vespa. E via discorrendo.

Salvini, in fin dei conti, dalla stessa scuola proviene e quindi allo stesso modo si comporta. E così l’endorsement su Draghi ha una sua logica, una sua “coerenza” nell’incoerenza. Anche perché, va detto, la Lega ha sempre avuto legami con quelle stesse banche contro le quali la sua propaganda finge di scagliarsi. Ricordiamo i rapporti con l’ex Governatore di Bankitalia Antonio Fazio e la tela che in quel mondo ha tessuto pazientemente Giorgetti, parente di banchieri, storico delfino di Bossi e attuale potente vicesegretario del partito. Proprio Giorgetti ha sempre coltivato l’amicizia politica con Draghi e con lui ampi settori del partito.

Capire se la “svolta” salviniana sia tattica o strategica ha poco senso: è una “svolta” semplicemente di sopravvivenza, di adattamento e domani si vedrà. Salvini ha scelto di stare dentro per tre motivi: in primis riaccreditarsi sul piano internazionale con Ue e Usa (dopo lo sputtanamento del Russiagate che fatalità lo ha allontanato dal Governo nel 2019) e accontentare la sua base (il core business della “ditta”), cioè gli imprenditori, i commercianti e le partite Iva del Nord. E per capire questo passaggio basta riascoltare le recenti parole di Zaia: “Non c’è solo un elettorato quantitativo ma anche qualitativo ed è fatto da chi crea il Pil del Paese”. Tradotto: chissenefrega dell’Opa salviniana al Sud per arrivare al 25-30% dei consensi, meglio avere il 15% ma più “pesante”. Terzo motivo: essere in maggioranza significa controllare la nuova legge elettorale che disegnerà i futuri assetti parlamentari. Salvini non vuole restare ai margini, cosa che invece rischia la Meloni. Non è da escludere in futuro, anzi è probabile, un asse “liberale” Salvini-Renzi con Forza Italia (o quello che sarà in futuro Forza Italia) che nel sistema proporzionale (per forza di cose centripeto, come insegnava il politologo Sartori) sarà l’ago della bilancia di qualsiasi futuro governo. Ogni partito andrà al voto per conto suo (come per le elezioni del Parlamento europeo) per poi pesarsi e allearsi in base alla propria forza.

Il Governo Draghi è l’inizio della Terza Repubblica (che poi nello schema è simile alla Prima) e Salvini ha deciso di non stare in panchina. Nel segno del Nord produttivo e dell’Europa, come la storia del Carroccio insegna. Il sovranismo o l’estrema destra sono stati un esperimento, o forse un cavallo di Troia per allargare il consenso. Ora è la fase del consolidamento. E di ritornare se stessi.

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