Sono trascorsi esattamente 45 anni da quando il mondo è rimasto orfano di una delle menti maggiori del nostro secolo. Di lui ricordiamo le guance scavate, gli occhi velati da una perenne malinconia, quell’atteggiamento “virile e guerriero” che camuffava indicibili lacerazioni nell’animo. Troppo sensibile per essere capito dai contemporanei, troppo crudo e disarmante per essere approfondito nel nostro tempo. Pier Paolo Pasolini.

Il 2 novembre 1975 il suo corpo massacrato viene ritrovato da una donna sul lido di Ostia. Percosso con un bastone fino a stramazzare al suolo poi travolto dalla sua stessa auto, una delle amate Alfa, viene assassinato in modo brutale. La cassa toracica sfondata causa una lunga agonia prima dell’ultimo respiro. A riconoscerlo sarà Ninetto Davoli.

Funerale in pompa magna, processi a non finire alla ricerca di un colpevole. Celebrazioni mediatiche e inchieste giornalistiche che hanno coinvolto perfino l’acuta penna di Oriana Fallaci. Memoir, testimonianze e anniversari poetici nel corso di quasi mezzo secolo hanno cercato di tenere viva la sua memoria. Una personalità spigolosa consapevole della sua grandezza, un rivoluzionario del pensiero, un profeta culturale sulla decadenza nazionale. Ma Pier Paolo uomo era anche dotato di un’ironia pungente, di una curiosità di bambino e di un indefesso spirito sportivo estremamente competitivo.

Giordano Viozzi, regista

A raccontarcelo, per celebrare la sua scomparsa, il regista Giordano Viozzi nel documentario ‘L’ultima partita di Pier Paolo Pasolini’ in onda su Sky Arte: «Il film nasce dalla collaborazione con Francesco Maria Anzivino ed è il frutto di una fatica durata sei anni. È un feticista di fonti letterarie con un atteggiamento da archeologo. Ha scoperto che l’ultima partita di calcio di Pasolini è stata giocata una manciata di settimane prima della sua morte, il 14 settembre 1975 allo Stadio Ballarin di San Benedetto del Tronto. Nelle Marche. Da una chiacchierata informale di due con la passione per il pallone e per le opere pasoliniane, è nata l’idea di farne un documentario. Abbiamo iniziato a comporre un puzzle più complesso di quanto ci aspettassimo: vecchie riprese, immagini di archivio, interviste a personaggi che hanno attraversato la sua vita, tra questi Ninetto Davoli e Fabio Capello. Ci siamo perfino seduti nel salotto di sua cugina Graziella Chiarcossi e sfogliato le sue vecchie agende». Un lavoro certosino, viscerale, per ricostruire gli ultimi mesi di vita del poeta. Un progetto in fieri in cui si è arrivati a capire che il 1975 non è solo l’anno della morte di Pasolini ma è un momento di svolta per l’Italia intera. È lo spartiacque che segna “la fine del mondo della lucciole” e l’inizio del boom edilizio, del turismo balneare di massa nelle “città senza cultura”. La sinistra perde consensi e si compattano i primi nuclei delle Brigate Rosse. 

«In realtà, San Benedetto e la partita di calcio sono un pretesto per parlare di quell’Italia. È lo slancio per far affiorare la critica di Pasolini dei confronti delle periferie: cresciute troppo in fretta hanno scambiato lo sviluppo economico-industriale per miglioramento. L’andare avanti era invece un regresso che ci riconduce dritti ai giorni nostri. Una nazione che tenta di scrivere una nuova storia ma che si accartoccia su se stessa sotto il fallimento culturale e politico. Colpisce il fatto che l’ultima partita di Pasolini si sia svolta, vuole il caso, nella stessa città dove si sarebbe formato uno dei primi nuclei delle BR intorno alla vicenda tragica di Fabrizio e Roberto Peci. Quel momento è la fine di un’epoca. Tutto quello che Pasolini aveva previsto si materializza».

Era il 1975 e si viveva un’estate spensierata al mare ma l’inverno sta per arrivare ed è carico di negatività. I confini nazionali non sono più così certi (trattato di Osimo) e vengono varate leggi speciali per uno stato di emergenza. Poteri straordinari vengono consegnati nelle mani della polizia che li esercita non sempre in modo ortodosso. Proteste e attentati sono all’ordine del giorno. La sinistra è lacerata e la destra ha iniziato la sua avanzata. I vecchi non riconoscono quella che chiamavano Patria, i giovani sono sfiduciati. Un omosessuale come Pasolini viene ghettizzato e probabilmente ucciso per il suo orientamento sessuale.

È il 2020. Le cose non sono cambiate. 

Il documentario andrà in onda su Sky Arte:

questa sera alle 21.15 + 23.50

domani (3 novembre) alle 14.30

8 novembre alle 16.20