Molte polemiche ha destato la dichiarazione della ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina su presunti “ostruzionismi” delle organizzazioni sindacali che metterebbero a rischio l’inizio dell’anno scolastico 2020-2021. Ne parliamo allora con il segretario della CISL scuola di Verona, Alessio Rebonato.

Azzolina qualche giorno fa ha avuto toni duri sui sindacati che farebbero ostruzionismo rispetto alla ripresa della scuola. Per il cittadino non addetto ai lavori potrebbe non essere chiaro perché. Potrebbe spiegarcelo?

«Fatico a risponderle, perché in realtà non saprei nemmeno io di preciso a cosa si riferisse. Se i sindacati davvero avessero voluto fare ostruzionismo, a marzo avrebbero per esempio impedito o messo in discussione la didattica a distanza (DAD), che non rientra tra i doveri dei docenti. Invece è stata organizzata e gestita con spirito di collaborazione e spesso in modo egregio, considerando le premesse. La verità è che abbiamo aiutato a definire i protocolli per i nidi e la scuola dell’infanzia; stiamo lavorando sodo e bene su più livelli pure col Comune di Verona e il Prefetto. L’uscita della ministra, piuttosto, sembra voler stornare l’attenzione dai problemi che non è ancora riuscita a risolvere, ignorando tra l’altro le proposte che il sindacato aveva elaborato e che puntualmente sono finite in un cassetto. Prendiamo, ad esempio, la questione del doppio turno in presenza: ad oggi mancano i numeri della dotazione aggiuntiva promessa dal Ministero dell’Istruzione per l’emergenza Covid-19, come si può in queste condizioni anche solo provare a ragionare su questa possibilità? Un altro esempio: la scuola inizia il 14 settembre, ma la consegna dei famosi banchi con rotelle, quelli del bando del ministero, è prevista verso ottobre o novembre. E nel frattempo?»

La sua impressione sulla gestione?

«Il Sistema dà il meglio di sé quando ogni discussione avviene evitando decisioni di parte – che vengono poi ribaltate a ogni cambio di governo – e impostando progetti di ampio respiro. Mi sembra pure che a livello decentrato – mi riferisco alla periferia – ci siano le maggiori potenzialità ma che manchino le risorse mentre il centro, che oggi lancia strali di ostruzionismo, sia il meno disposto a fare lavoro di squadra con tutti i campi che concorrono: trasporto, sanità e, appunto, istruzione.»

L’opposizione allora secondo lei ha soluzioni più funzionali?

«In realtà l’opposizione non aiuta granché alla soluzione del problema, è spesso focalizzata nel chiedere precisazioni alla ministra sulla scansione dell’ingresso a scuola, delle mense… ma non tutto dipende dal ministero; sono questi spazi d’azione dell’autonomia scolastica che cerca di venire incontro alle esigenze del territorio.»

Parliamo della questione banchi. In questo modo si risolve la questione distanziamento, ma per il rischio sismico si fa un passo indietro…

«La vicenda è sintomatica di un modo di lavorare. Per anni si è fatto poco o nulla per la dotazione in classe; oggi, di fretta, si è deciso per questi banchi, una scelta che in chiave “protettiva” può starci (ma più di un tot nelle classi, ruote o no, non ci si sta, è evidente) ma che non va nella direzione dell’innovazione didattica. Ci vuole un ripensamento complessivo – e non lo dico io, ma l’associazione nazionale architetti – sull’edilizia scolastica e sulla abitabilità.»

Che in città come Verona è un problema ancora più complesso. Se immaginiamo una scuola con spazi mobili come quella finlandese o uno spazio da vivere anche esterno come un campus americano dobbiamo abbandonare le sedi nei palazzi storici dove non è possibile per i vincoli della sovraintendenza spostare un muro

«Dobbiamo sì gestire e vivere l’emergenza e superarla ma pure immaginare anche il domani cercando le risorse necessarie per ripensare l’idea di scuola. In questo senso serve un dibattito condiviso che permetta di recuperare 20 anni di ritardo e, per esempio, di stabilire con quanta parte del Recovery Fund verrà destinato al mondo dell’istruzione. Ovvero: la stessa prontezza con cui si individuano le zone per i nuovi centri commerciali dovrebbe essere impiegata per trovare aree per nuovi e più funzionali poli didattici.»

Com’è la situazione sui trasporti?

«La volontà di tutti gli attori è forte e chiara, vogliamo far ripartire la scuola. Il problema, al solito, sono le risorse, spesso promesse, che mancano. Ai tavoli su cui ci si confronta si è preso atto di un fatto: per rispettare nel settore trasporti i giusti rapporti di distanziamento (un metro) ci vorrebbero 300 autobus solo a Verona, che al momento non sono disponibili nemmeno sommando quelli dei privati. Paghiamo, in questo senso, il progressivo ritrarsi dell’offerta pubblica che, in questi anni, ha visto destinare altrove molte risorse del trasporto pubblico, della sanità, della scuola.»

Quindi è un problema di sistema.

«Il momento che stiamo vivendo ci dà l’opportunità di fare scelte lungimiranti, che in realtà non abbiamo mai fatto. C’è tutto un sistema che stavamo smantellando togliendo risorse e che ora riscopriamo fondamentale, come ad esempio la sanità: come società dobbiamo decidere dove mettere nuove risorse, dove puntare per rimettere al centro la persona e i suoi bisogni. Lo stesso vale per la scuola: nuove esigenze ci costringono a valutare scelte che abbiamo sempre evitato di fare perché costose. In un anno il Ministero dell’Istruzione pensa di rendere moderna l’edilizia scolastica? Impossibile. Ragioniamo piuttosto – la ministra Azzolina ci dica concretamente che tipo di scuola sogna – su quale progetto di medio-lungo periodo intendiamo puntare. Questo comporterà certo delle spese ma ci permetterebbe di fare finalmente quel salto di qualità e di immaginare un futuro per questo Paese.»

Il futuro sarà sempre più digitale?

«Una didattica a distanza (DAD) nata nell’emergenza di bollettini drammatici ha svolto il suo compito in termini di didattica e sostenibilità; non è pensabile tuttavia che questa sia l’unica soluzione per il futuro perché la scuola non è solo didattica ma anche relazione. Il digitale non risolve tutto, anzi: pensiamo alle assunzioni. Tralasciando i problemi tecnici, la rigidità della procedura digitale costringerà, ad esempio, un veronese ad accettare una cattedra a Belluno, con tutte i disagi per il lavoratore e le incognite per la cattedra. Un sistema, quindi, che non tiene conto delle necessità delle persone è che è stretto da un parte dall’emergenza dettata dal ritardo nell’organizzazione e dall’altra da un personale amministrativo insufficiente: per smaltire le circa 700mila domande (23mila solo a Verona) per le supplenze annuali ci vogliono 83 giorni di lavoro filati e intensi. E la scuola inizia sempre il 14 settembre.»

La Cisl scuola è risultato il sindacato più rappresentativo nel comparto istruzione e ricerca. Qual è il suo tratto distintivo?

«La Cisl scuola si distingue dagli altri nella misura in cui riesce ad avere una visione che tiene insieme sia le esigenze della professionalità del lavoro con quello che è il servizio da dare all’utenza sia il diritto allo studio da garantire. Ovvero, attenzione non solo alla rivendicazione corporativa ma a che si creino le condizioni per il miglioramento dell’offerta formativa anche dal punto di vista dell’innovazione.»