Si parla da tempo di “ritorno alla normalità”. È diventato un mantra con cui siamo riusciti ad andare avanti in questi mesi difficili. “Quando tutto sarà finito, che feste che faremo!”. “Appena riaprono i cinema, mi ci fiondo!”, e via così. Questo quando ancora c’era un prima e un dopo Covid-19. Poi, col passare dei mesi, ci siamo resi conto pian piano che non ci sarebbe stato nessun “dopo”, ma solo un “durante” bello lungo, in attesa di un dopo sempre più lontano, oltre l’orizzonte. Ma è proprio in questo durante che bisogna lottare per uno scampolo di normalità, o “nuova normalità”.

In un’estate veronese (ma non solo…) dettata dall’assenza pressoché totale di eventi, qualcosa sta iniziando a muoversi. Riprendono timidamente i concerti, qualche mostra e, in questi giorni, il Bridge Film Festival con la sua settima edizione. Con una serata in meno del solito, norme per il distanziamento e la sicurezza, un pacchetto di regole necessarie in questa situazione senza precedenti (ne abbiamo già parlato qui). Eppure la sensazione che abbiamo provato nel corso della prima serata, svoltasi ieri sera all’ex dogana di fiume, è stata di tranquilla normalità.

Il pubblico, opportunamente distanziato, ha assistito alle proiezioni dei corti No Connection, realizzato dal regista Piero Facci insieme a un gruppo di ragazzi tra gli 8 e i 18 anni nel corso di un workshop tenutosi al Bridge 2019, e Ma-La-Femmena di Desirè Gaudioso, Matilde Ferro, Anna Lughezzani e Marta Giacomelli, nato in collaborazione con Associazione culturale ZaLab nel laboratorio di cinema documentario “Verona Fuori Le Mura”. E poi del lungometraggio Searching Eva, un documentario di Pia Hellenthal incentrato su Eva, modella e sex worker berlinese che ha deciso di raccontare la sua vita esponendola senza filtri sulla rete.

Il pubblico è accorso numeroso. La preoccupazione degli organizzatori era che, oltre alla necessaria riduzione dei posti rispetto agli anni scorsi, la paura avrebbe scoraggiato anche i più appassionati. Ma così non è stato: l’arena in riva all’Adige era piena di spettatori, rigorosamente distanziati, che hanno seguito in religioso silenzio le proiezioni, come in un rito collettivo di cui sentivano la mancanza.

Dall’altra parte, nell’area interna della dogana, la serata è stata invece più chiaramente segnata dalla strana contingenza in cui ci troviamo. Di solito, l’area bar del Bridge Film Festival è piena di avventori, giunti più per un cocktail o una birra e quattro chiacchiere che per vedere un film. Ecco, ieri sera invece la situazione era ben diversa. Sarà che quest’anno tocca stare seduti per consumare il drink senza mascherina, sarà che era giovedì e chissà cosa ci aspetta stasera e domani, sarà quello che volete ma ieri la zona bar era popolata dai collaboratori del Bridge e da pochi “esterni”.

In ogni caso, il bilancio della prima serata del settimo Bridge Film Festival è molto buono e ha dimostrato che, se c’è stata una scrematura, è avvenuta a vantaggio di chi voleva vedersi un film. Per gli spritz c’è tempo.