In occasione della tua prima selva sul neonato Heraldo, rinnovata e upgradata versione de Il Nazionale, ti pare legittimo fare mente locale su cosa siano effettivamente ‘sti pezzi. Gli stessi chiaramente si nutrono sia del rimando alla dantesca selva oscura in cui “la diritta via era smarrita” sia di quello all’intelligenza circolare, concetto questo parecchio meno nobile ma secondo te basilare nell’approccio all’esistenza. Che già è dura di suo. A ognuno il suo, certo. Siamo ben lontani dall’engagement di Sartre o dallo stoicismo di Eraclito e Zenone, però questi sono tempi difficili e ognuno fa con quel che può e con quel che ha. 

Quindi. Le selve partono da una personalissima (e confusa) rilettura e/o interpretazione di accadimenti esteriori, individuali e collettivi, in cui ti ritrovi senza sapere bene come, quando, dove, perché o cosa, bypassando così alla grande le cinque domande basilari della scrittura giornalistica. Questo perché ti trovi invischiato in una specie di sabbia mobile dialettica, in un ginepraio burocratico, in una tormenta emotivo o in un labirinto cerebrale di non comprensione dell’evento e delle sue motivazioni che Minotauro scansate. Anche perché tu non c’hai né Arianna né il gomitolo, fosse anche sgarruppato e sfilacciato. E hai voglia a pensare come Kern che “Nel labirinto non ci perde/ Nel labirinto ci si trova/ Nel labirinto non si incontra il Minotauro/ Nel labirinto si incontra se stessi”, a volte preferisci di gran lunga trovare lui che te in versione surreal/cerebrale.

Comunque. Non potendo uscire dalla suddetta incomprensione di un evento/notizia per te inedito e/o illogico e/o surreale, tenti di descrivere lo stesso/a secondo modalità circolari. Cioè secondo la personalissima teoria per cui se misurata su un cerchio la massima intelligenza e la massima demenza possono talvolta coincidere, e si possono dire cose scemissime in modo intelligente. E viceversa. O anche, più spesso, cose sceme in modo scemo. Tutto dipende da quant’è largo il cerchio.

Come facilmente intuibile dalle premesse testé evocate, i contesti e gli spunti per le selve sono molteplici e si nutrono di spunti individuali, generali e/o legati all’attualità. Segue lista non esaustiva ma idealmente esemplificativa e ordinata per categorizzazione, perché anche la circolarità richiede rigore e organizzazione. Saltando per ovvi motivi di isolamento Covid-19 l’esempio relativo all’individuale, oggi resti solo su un più interessante aspetto collettivo, declinato come segue:

– collettivo-estetico. Quei pochi esemplari maschili che incroci per strada che non siano in tuta si ostinano ancora ad andare in giro col rivoltino ai jeans. Fatto, questo, non solo già ampiamente deriso da una nutrita parte della collettività, ma che peraltro cozza contro ogni logica. Il risvoltino sega anche le gambe più lunghe e più toniche, per non parlare di quelle più cicciottine, proponendo un’immagine talvolta più simile al piede di porco (quello vero, non quello dei ladri) che a quella del David di Michelangelo. Idem come sopra per le ballerine femminili, che gonfiano similmente il piede con lo stesso risultato: #piùpiedediporcopertutti.

– collettivo-social-gastronomico. Dopo l’ondata iniziale di meme, filmati, frizzi e lazzi a tema pandemia, ora sembra giunto l’agognato momento della condivisione selvaggia di foto di pietanze, pane, focacce, torte [aggiungete in quantità a piacimento e spruzzate con scorza di arancia o limone]. Certo è un passo in avanti rispetto al corrispettivo delle foto delle gambe in spiaggia che annualmente ci allietano a partire da aprile in avanti. Però magari un po’ di pietà verso chi al massimo fa una carbonara non guasterebbe ora che si invoca la solidarietà verso i meno fortunati come valore massimo di una rinascita in cui saremo tutti migliori: #sefatel’anatraall’aranciatenetevelopervoigrazie.

– collettivo-social-artistico-informato: complice l’impossibilità di usare la più tradizionale modalità in presentia fioriscono sui social le storie instagram, le dirette streaming, le registrazioni di concerti casalinghi/performance/interviste inondanti il web. A fronte di eventi pure interessanti – come ad esempio le quotidiane dirette facebook e youtube di Heraldo alle 13.31, di cui devi parlar bene per contratto –, sarebbe opportuno ricordare a tutti che la gente ha sì più tempo, ma sempre nell’arco delle solite 24 ore al giorno. Pure il Covid, questo non lo ha cambiato. Inoltre, ora c’abbiamo pure da fare i tortellini a mano per poi postarli, che sennò non sei nessuno. Quindi dateve ‘na regolata tutti: #abbiatepietàdinoi

– collettivo-politico. Notizia recentissima è che pure quest’anno, con una pandemia globale e una crisi economica in atto, le tradizioni si rispettano. Quindi, per mantenere una rassicurante parvenza di normalità che ci rimandi alle nostre più radicate consuetudini nazionali, anche in questo funesto anno bisesto non possiamo farci mancare la polemica sul 25 aprile incombente. In ottemperanza a questa gloriosa tradizione italica, il vice presidente del Senato La Russa (FdI) propone di trasformare la commemorazione della liberazione in una “giornata di concordia nazionale nella quale ricordare i caduti di tutte le guerre”, incluse “tutte le vittime del Covid-19”. Il tutto in accordo alla narrazione dominante che a livello lessicale tratteggia il match virus-umanità come un evento bellico. A quando San Valentino come la festa di chiunque ami qualcuno/qualcosa, il tutto inclusivo di persone fisiche ma anche, chessò, della squadra del cuore, dell’orchidea innaffiata con tanto ammmmore da 3 anni, di Keanu Reeves che in Matrix era un figo da paura? #noncelapossiamofareeladirittaviaèperduta.

Come facilmente intuibile, la lista tratteggiata supra è implementabile con quello che volete. Perché la circolarità è come una fisarmonica: espandibile a volontà. Basta saperla usare.

Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, CommediaInferno, Canto I