Tempi duri questi. Tra Trump, l’Iran, la Brexit, i problemi politici interni, quelli stranieri, il Coronavirus mica ci si annoiava già prima. Adesso che c’è Sanremo ci si annoia ancora meno.

Puntualmente, anche quest’anno e forse anche più degli altri anni – “come primaaaaa, più di primaaaaa, t’amerò” –, per quasi una settimana la 70esima edizione del Festival catalizza l’attenzione. Genera palpiti, sospiri, dibattiti e parapiglia. Paralizza in qualche modo la nazione tutta. È un po’ come durante il mese dei Mondiali (ma solo se gioca l’Italia): tu potresti anche ammazzare 272,45 bambini e spargerne le ceneri dalla guglia del Duomo di Milano cantando People have the power vestito da renna di Babbo Natale. Non ti si filerebbe nessuno. Al massimo ti darebbero un trafiletto in una pagina minore. Questo perché all’Ariston c’è uno che canta vestito non da renna ma con una tutina argentata. Ubi maior, minor cessat.

Ci sono gli share stellari, i paginoni, i titoloni, le cadute, gli abbandoni del palco. Ci sono i look finto-provocatori e/o belli-brutti-volgari-eleganti, le numerosissime e variegate pagelle alle mises, comprensive di allusioni alle 15 giacche glitterate portate dal presentatore in riviera. Ci sono le polemiche passate remote – siori e siore, si è cominciato già a novembre-dicembre scorsi, con discussioni su uffici stampa, fughe di notizie sulla lista dei big in gara, dibattiti su Pavone e Jebreal sul palco si/no – e quelle passate prossime, i passi indietro e “quello che le donne non dicono” ma che Amadeus sì però poi “è difficile spiegare, lascia stare” (cit.), i rapper mascherati pseudomaledetti e i pinguini nuclearizzati e fraintesi, le defezioni della Monicona internazionale ecc.

Ci sono le polemiche presenti – vedasi ancora i look e le diatribe vere o finte più il palco griffato crema gianduia e biscotti introvabili o razionati (boh) come in tempo di guerra, i compensi stellari di vari big e la (diciamo così) scarsa attenzione filologica ai testi biblici proposti, le varie beghe tra (pseudo)conservatori e (pseudo)progressisti a livello di look, testi, performance di questo o quel cantante, questo o quell’artista/presentatore/giornalista/ospite e compagnia cantante – e quelle future – “and the winner is…” più strascichi, commenti, giudizi, denunce di complotti giudeo-massonici dei prossimi giorni.

Insomma, non c’è pace a questo mondo. E probabilmente manco nell’altro: già ti sembra di scorgere un ipotetico dialogo dei morti – genere letterario-filosofico anticamente nobilissimo, solo che Platone & company discutevano post-mortem del senso della vita – su tutina argentata sì (Platone, ché noi mortali abbiamo solo una conoscenza imperfetta delle cose che rimandano alle idee dell’iperuranio, dove ci sarà senz’altro la versione perfetta e immutabile della tutina in oggetto) o tutina argentata no (Socrate, che schifato dal degrado umano s’è pure bevuto la cicuta a causa della tutina in oggetto), prima che Nietzsche intervenisse a gamba tesa dicendo che meglio la versione Marylin Manson: pure se parecchio imperfetto perché non del mondo delle idee, il look dark seminudo fa comunque più superuomo della tutina argentata e comunque oh, quest’anno questo passa il convento.

Eh. In questi giorni scampare a Sanremo non si può. È come con i testimoni di Geova, quando tu pensi, ovviamente e ingenuamente invano, di cavartela velocemente con un «sono buddista-musulmano-ateo-fruttariano crudista-adoratore di Satana-iscritto alla bocciofila di Montorio-[scegliete voi cos’altro]». Allo stesso modo, tu puoi ben essere buddista-musulmano-ateo-ecc. ecc., puoi financo non avere la televisione e/o non guardare il Festival – e qui quest’anno più che gli altri Dio ti scampi, perché in caso devi scegliere se sei femminista, radical chic, Salviniano, tutti assertori del boicottaggio della kermesse –, ma tanto della tutina argentata e del pezzone sul Cantico dei Cantici vieni a sapere lo stesso. Ne parla perfino il barista che ti fa il caffè la mattina, quando sei ancora fragile e un po’ psicolabile e non ti puoi difendere.

Tempi duri, si diceva. Anche perché è vero che ora finisce. Però è anche vero che tra pochi giorni comincia San Valentino, che com’è noto a Verona è una roba seria da animi forti. Daje.

P.S. Comunque a te piace Eden di Rancore.

Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, CommediaInferno, Canto I