La borsa o la vita? Risposta scontata,  la borsa ovviamente. In campo si torna, a qualsiasi costo. Più che un giocattolo, quello del calcio assomiglia sempre di più al vaso di Pandora. Se si apre, da lì escono tutti i mali del mondo. Questo almeno fino a una quarantina di giorni fa, alla sospensione del campionato. La mitologia va però riscritta: il vaso non lo ha scoperchiato nessuno, quantomeno Pandora. Nessuno se ne è accorto, ma i mali se li è aspirati il Covid-19 per poi sbatterceli davanti agli occhi. Vecchie storie, polvere che esce da sotto i tappeti. Ma uno degli effetti più dirompenti di un mondo preso in contropiede, è averle esposte nude e crude, nella brutale evidenza della loro fattezza. Saltano sacrari come Wimbledon e il Roland Garros, in attesa di tempi migliori abbassano la serranda una dopo l’altra tutte le discipline sportive; persino le Olimpiadi sventolano bandiera bianca, sia pur a cinque cerchi, e danno appuntamento nel 2021 a Tokyo; in passato si fermavano per le guerre, come del resto avveniva già nell’antichità, oggi lo Stop lo espone il carognavirus.

E il calcio che fa? Si arrocca negli egoismi dei suoi giardinetti. L’Uefa sacrifica giustamente i campionati europei, salvo poi spiegare che lo fa solo per permettere ai suoi figliocci di portare a termine le coppe continentali e i campionati nazionali. La metafora sta in quei soldati giapponesi rimasti per anni nella giungla, ignari del fatto che la guerra fosse finita. Ma quelli almeno ispiravano sentimenti di benevola simpatia, questi decisamente un po’ meno. Il Palazzo si chiude in se stesso, nega l’evidenza a conferma di vivere in una dimensione al di fuori della realtà. Promette partite ogni tre giorni rigorosamente a porte chiuse (sai che spettacolo…), rigidi protocolli d’isolamento nei ritiri (bene che vada sì e no un terzo dei club saranno in grado di praticarli), e poi giù di tamponi, uno dietro l’altro per tutti, quando là fuori non ce ne sono abbastanza per la gente comune, che intanto soffre e vive nella stretta. Bell’esempio davvero da chi spende milioni a predicare Fairplay.

I calciatori hanno persino preteso di trattare la riduzione dei lauti stipendi, quando buongusto avrebbe imposto a lor signori un gesto di ragionevole spontaneità. Ma in campo poi, come ci andranno? Con mascherine e guantini puntualmente griffati dal prêt-àporter? Si disporranno in barriera e sui calci d’angolo a due metri l’uno dall’altro in ottemperanza a quel distanziamento sociale col quale dovremo convivere, se va bene, per i prossimi dieci mesi?

«La torta in ballo è grossa, il calcio è la seconda impresa del Paese, se si ferma tutto, vien giù tutto» obiettano dotti, medici e sapienti dal carrozzone. Un sistema davvero solido e stabile, potremmo replicare noi. Andate avanti, incuranti di sensibile buonsenso? Insozzatevi delle vostre cupidigie, ingoiate la vostra torta fino all’ultima briciola. Non saremo certo noi ad impedirvelo. Quando la bolla della vostra insostenibile presunzione svanirà, ci basterà vedervi scannare nelle baruffe tra ricorsi, contro ricorsi, carte bollate, e appellarvi all’immancabile Tar del Lazio, perché, statene certi, verrà anche il suo turno.

Si usa dire non ci sia peggior sordo di chi non vuol sentire. Quindi non veniteci un giorno a dire che non ve lo avevano detto. Perché ve lo stanno dicendo tutti. Persino Federica Pellegrini ve le ha cantate. Pure lei avete fatto incazzare (e giganteggiare fuori da una piscina). La passione l’avete uccisa da tempo; diciamo che il virus ha amplificato e reso tutto ancora più evidente. Andate pure avanti, e sarete sempre più soli. Noi faremo disobbedienza, non vi racconteremo, faremo come se non esisteste. Qualora non ve ne siate accorti, là fuori si muore, monta la disperazione e si lotta per un tozzo di pane. Giocate pure nel vostro giardino dorato, non dimenticate di portarvi cuffioni e pochette, e poi che altro dire… buon divertimento. Noi abbiamo altro da fare. Sbaglieremo, ma da poveri illusi, alla borsa preferiamo ancora la vita.