Per un musicista è sempre bene riflettere sul concetto di tempo. Viene in aiuto, per questo, la locuzione latina carpe diem, afferra il giorno, ed anche la sua traduzione più frequente, benché letteralmente e semanticamente errata, segno dei tempi che passano: cogli l’attimo. Sono due concezioni di tempo molto diverse: la più antica, nata con Orazio prima di Cristo, è un invito a godere, ogni giorno, del buono offerto dal presente; la seconda, resa celebre dal film “L’attimo fuggente”, è riferita all’afferrare un’opportunità che potrebbe non ritornare più. Sono entrambe definizioni decisamente ritmiche e musicali. Con il suo nuovo lavoro “Ambrotype” Marco Pandolfi, armonicista e bluesman di fama internazionale, coglie l’attimo afferrando il giorno. Il gusto vintage di “Ambrotype”, registrato in stile “live” presso lo studio Area 51 di Moreno Buttinar, fa da ponte fra una musica nata in un tempo passato e la scena artistica presente. Marco Pandolfi ci racconta come.

L’ambrotype, o ambrotipia in italiano, è un procedimento per imprimere immagini fotografiche su lastre di vetro. Oltre al sapore vintage che dà al nome del disco ed alla sua copertina, l’ambrotipia, in un periodo dove il supporto fisico delle immagini sta velocemente scomparendo, ha per te un valore simbolico, anche in senso più amplio?

«Mi piaceva l’idea di accostare questa tecnica fotografica alla registrazione pressoché “live” del disco. Non sono un esperto di fotografia ma lo è il mio amico Dennis Ziliotto che ha fatto tutte le foto del CD utilizzando questa “magia” d’altri tempi. Quando registro un disco preferisco andare in studio già con un’idea finale dei suoni, suonando e cantando in diretta. In questo modo il fonico deve sapere come piazzare i microfoni considerando che ognuno di questi riprende non solo il suono di uno specifico strumento ma, sia pure in parte, anche il suono degli strumenti più vicini. E’ quindi un lavoro da immaginare prima perchè successivamente non si potranno fare grandi modifiche o correzioni. Allo stesso modo Dennis ha dovuto calcolare a priori la durata dell’apertura dell’obiettivo in base alla luce e quindi cogliere l’esatto momento per immortalare l’immagine. Inutile dire che spesso non si raggiunge nessun risultato, sia nel caso della registrazione musicale che in quello dello scatto fotografico.»

Il rapporto tra chitarra, voce e armonica è la spina dorsale della tua musica. Come trovi l’equilibrio fra questi tre strumenti?

«In modo abbastanza naturale. Nel senso che cerco di farlo come se lo facessero tre persone, senza sovrapposizioni, cercando di fare le cose in modo semplice e sempre in funzione della canzone.»

Il disco presenta una carrellata di sfumature differenti di musica folk-blues, partendo dal rock blues di “Lucky man” fino alle venature swing-boogie di “Sitting on the corner”, passando per le atmosfere acustiche di “Ain’t talking about Jesus”. Quali sono i sottogeneri e gli artisti folk-blues che senti più tuoi, quelli che hanno rappresentato le tue ispirazioni durante la tua carriera?

«Le ispirazioni sono state e sono molte e diverse. Sono arrivato al blues passando per la musica folk americana ed ho sempre avuto una certa predilezione per la forma canzone nei generi diversi. Amo molto il Chicago Blues ma anche quello del sud degli Stati Uniti. Mi piace passare dall’elettrico all’acustico e viceversa. Mi piace il ragtime, lo swing e pure la canzone d’autore. Nel mondo del blues sono più conosciuto come armonicista ma oggi, se faccio un disco mio, l’armonica diventa uno dei tanti strumenti e in alcuni pezzi di Ambrotype non l’ho neppure suonata semplicemente perché non ne sentivo l’esigenza.»

Oltre alla musica, in “Ambrotype”, si percepisce l’importanza che hai voluto dare alla composizione dei testi. In “Nothing can go wrong” hai lasciato spazio ad uno più stile cantautorale, quasi dylaniano. C’è un filo conduttore nelle storie che racconti in questo CD? L’inglese è storicamente la lingua del blues, e ti permette di suonare in tutta Europa ed in tutto il mondo. Hai mai pensato di comporre anche canzoni in italiano?

«Più che dare importanza ai testi ho cercato di non farmi costringere da certe strutture tipiche del blues. Non c’è nessun intento filologico. E’ un lavoro molto libero in cui credo che venga fuori una parte di Marco Pandolfi e di questo devo ringraziare Moreno Buttinar e l’etichetta EPOPS Music per aver creduto in me. Ogni canzone del disco ha una storia a sé, non c’è un filo conduttore tra i brani. Per quanto riguarda la lingua, la scelta dell’inglese non è tanto legata alla possibilità di suonare all’estero ma quanto al fatto che, secondo me, la lingua italiana ha dei limiti legati alla metrica se utilizzata nel blues più tradizionale. Andrebbe molto meglio qualsiasi dialetto. Canzoni in italiano ne ho scritte ma non sono blues, generalmente i blues in italiano non mi piacciono.»

Nei prossimi mesi porterai “Ambrotype” lungo l’Italia, ed anche in Svizzera, Germania e Francia. Ti concentrerai sui concerti o hai già in mente progetti artistici futuri?

«Sicuramente mi concentrerò sui concerti. Molti di questi mi vedranno impegnato in una veste solista, altri con la collaborazione di altri musicisti o la partecipazione a progetti non miei. Ambrotype è appena uscito e sto ancora testando le reazioni della gente ma ho già la testa su cose nuove.»

TRACKLIST “AMBROTYPE”

  1. LUCKY MAN
  2. VISIONARY DREAM #1
  3. OVER YOUR SHADOW
  4. SKIPPING THE LINE
  5. U-KILLA-DA-CHIEF
  6. GREEN AND BLUE
  7. SITTIN’ ON THE CORNER
  8. AIN’T TALKING ABOUT JESUS
  9. MY ROSE
  10. NOTHING CAN GO WRONG
  11. OVER YOUR SHADOW (acoustic version)

Featuring: Federico Paternello, Massimo Bonotto, Valentina Bartoli, Lucy Passante Spaccapietra.

Per ulteriori informazioni sui concerti e la musica di Marco Pandolfi: http://www.marcopandolfi.com