Il Grande Torino
A 70 anni dalla strage di Superga, rimane indelebile il ricordo della squadra italiana più famosa di tutti i tempi.
A 70 anni dalla strage di Superga, rimane indelebile il ricordo della squadra italiana più famosa di tutti i tempi.
È stata unanimemente definita la squadra italiana più forte di tutti i tempi. Oggi come ieri quella squadra di campioni manca ancora a tutti gli amanti del gioco del calcio e non solo. Sono ormai trascorsi 70 anni dal quell’infausto pomeriggio del 4 maggio 1949, quando il volo FIAT, sul quale viaggiavano Valentino Mazzola & C. di ritorno da una trasferta a Lisbona, si è schiantato sul fianco della basilica di Superga.
LA STORIA
Il Grande Torino, così era chiamato, si era recato in Portogallo per disputare una partita amichevole contro la nazionale lusitana. L’incontro esaudiva un’espressa richiesta fatta a Valentino Mazzola da parte del capitano dei portoghesi Ferreira detto “Chico”. In occasione di un’Italia-Portogallo, giocata a Genova, proprio Ferreira aveva strappato a Mazzola la promessa di una partita contro il Grande Torino. Lui navigava in cattive acque e l’incasso lo avrebbe aiutato a risollevare la sua situazione finanziaria. La data fissata era quella del 3 maggio 1949. Allora in Portogallo era festa nazionale perché ricorreva la scoperta del Brasile. Il Torino era partito per il Portogallo appena terminata una partita di campionato. Mazzola, febbricitante, non avrebbe dovuto nemmeno giocare, ma la promessa di un capitano è sempre una promessa. Al ritorno, le condizioni atmosferiche avverse avevano sconsigliato fino all’ultimo la partenza. Il capitano Valentino Mazzola, papà dell’altrettanto famoso Sandro, protagonista anni dopo con la maglia dell’Inter, si fece portavoce di una squadra sfinita fisicamente affinché l’aereo partisse lo stesso e atterrasse a Torino anziché a Malpensa, come inizialmente previsto. Il primo pilota, un certo Meroni – ironia della sorte con lo stesso cognome dell’altrettanto sfortunato Gigi, la famosa “farfalla granata” – non poté non acconsentire a quel desiderio. Sì, perché c’era subito una partita di campionato da giocare, al termine della quale il Torino avrebbe festeggiato il suo settimo scudetto tricolore. Arrivato sul cielo grigio della città della Mole, il velivolo, avvolto da una fitta nebbia, si trovò costretto a viaggiare senza il supporto operativo della torre di controllo. Un altimetro “impazzito” indicò un’errata altitudine e lo schianto su Superga fu inevitabile. Se ne andava così la squadra italiana più forte di tutti i tempi, in un’immane tragedia che di lì a qualche anno, esattamente il 6 febbraio 1958, avrebbe colpito anche gli inglesi del Manchester United.
IL RICORDO
Il direttore del quotidiano “Tuttosport” di allora, Carlo Bergoglio, che si firmava con lo pseudonimo di “Carlin” – passato suo malgrado da vice a direttore in quanto quello in carica, Renato Casalbore, si trovava su quel “maledetto” aereo – titolò con queste poche parole “Questa squadra era troppo meravigliosa per invecchiare”. Forse era proprio così, quella squadra stava veramente invecchiando. Gabetto avrebbe smesso di lì a poco, mentre Valentino Mazzola, pieno di offerte, stava pensando di andare a scegliere un impegno agonistico meno probante. Del resto aveva già trent’anni e a quell’epoca era già un’età in cui i calciatori iniziavano a pensare al proprio futuro. Loik, infine, sarebbe probabilmente passato alla Juventus. Quella formazione condensa dentro di sé l’intero catalogo di emozioni che può regalare una squadra di calcio immortale come era quel Torino di allora. Doti umane, fisiche e soprattutto tecniche avevano dato forma a un team incredilmente invincibile, protagonista di inarrivabili gesta sportive. Erano giocatori tra la gente che con i tifosi di allora, in particolare con quelli della città piemontese, avevano saputo creare un legame indissolubile. Solo il destino riservò loro una trasferta dalla quale non sarebbero più tornati, lasciando a tutti un ricordo senza tempo.
LO SCUDETTO DEL 1976
In un certo senso lo spirito granata riuscì a fare pari con il destino solo nel 1976, quando il Torino dei “gemelli del gol” Pulici e Graziani, del “poeta del gol” Claudio Sala e del “giaguaro” Luciano Castellini, guidato da Gigi Radice, recentemente scomparso, tornò a cucirsi sul petto lo scudetto tricolore. Al termine di una sfida entusiasmante con la Juventus i granata conquistarono la vittoria del campionato, l’ultima della recente storia del Toro, riuscendo a far rivivere – se vogliamo – le antiche gesta dei più illustri predecessori.
Nei ricordi di tutti noi resta ora e per sempre una dolce litania senza tempo, da recitare tutta d’un fiato: “Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ossola”.