Milo Manara è un’istituzione. Non è solo un disegnatore di fumetti. Ha trasceso questa definizione che, purtroppo ancora oggi, in Italia fa storcere il naso all'”intellighenzia”. Manara è un artista, l’autore di fumetti che piace anche a chi i fumetti li guarda con diffidenza. Da cinquant’anni porta avanti la sua visione personale di un disegno erotico d’autore, che ha fatto da ponte tra un’era in cui il fumetto era poco più che uno svago popolare e quella in cui ci troviamo oggi, quella della rivincita mainstream dei nerd.

Lo abbiamo incontrato l’altro giorno alla libreria Feltrinelli, in occasione della presentazione del secondo volume della graphic novel che ha dedicato a Caravaggio. Un’opera che si avvale di una meticolosa ricostruzione storica e dei colori al computer della figlia Simona, per raccontare la storia di un artista capace di pensare, per molti versi, fuori dal coro rispetto ai colleghi della sua epoca. «Caravaggio si ispirava all’imperfezione della natura, delle cose reali. Proprio per questa imperfezione molti suoi quadri furono rifiutati», spiega Manara. «Lui organizzava i modelli come fossero attori, usava luci artificiali, lavorava come un moderno fotografo o un regista. Usava solo modelli in carne e ossa, che prendeva dalla strada. Era assistito da un talento miracoloso, non aveva bisogno della macchina fotografica, che non esisteva. Faceva lui il lavoro della macchina fotografica».

Parliamo un attimo di Adrian e del suo coinvolgimento nella serie di Celentano. Tempo fa ha rilasciato un comunicato che non è stato capito. Molti hanno detto «Ecco, Manara ha preso le distanze dal programma», mentre lei voleva solamente spiegare di non essere l’autore dell’animazione, ma solo del character design

«Sì, ho poi anche scritto una lettera a Marco Travaglio, che aveva interpretato così il comunicato, dicendo che non volevo prendere le distanze da niente o nessuno. Avevo visto tanti articoli che parlavano del cartone animato di Milo Manara, della graphic novel di Milo Manara, un po’ da ignoranti. Un film, anche di animazione, è l’opera di un autore, tutti gli altri sono collaboratori. Io ho fatto quello che mi ha chiesto il regista, non c’entro con la sceneggiatura o l’animazione. Celentano mi ha chiesto di disegnare i personaggi. Poi questi disegni sono stati consegnati agli animatori. Io ho finito quel lavoro dieci anni fa.»

Tra l’altro hanno usato il termine graphic novel a sproposito…

«È stato “Libero” a titolare così. Di certe scene, come quelle erotiche, ho fatto anche gli storyboard. Adriano le ha fatte animare, ma si vede che non era soddisfatto del risultato e ha deciso di prendere gli storyboard così come erano e metterli dentro l’animazione. Ma si vedeva lo stacco. Se avessi saputo che lui le avrebbe messe nel film, avrei cercato di disegnarle con uno stile più aderente al resto. Io questo ho chiarito. Per il resto non voglio prendere distanze da niente, se domani mattina Celentano mi domandasse di fare lo stesso lavoro, lo rifarei. Anzi per me è stata una bella esperienza, ho lavorato con persone che mi piacciono. Vincenzo Cerami aveva scritto la sceneggiatura, Nicola Piovani le musiche, Enzo D’Alò avrebbe dovuto realizzare le animazioni. Anche i contenuti del film sono interessanti: che ci sia in corso una catastrofe di tipo estetico, oltre che culturale, mi pare sia innegabile. La serie ha suscitato tante reazioni al limite dell’isteria, ma non mi sembra che sia la cosa più brutta trasmessa da Mediaset negli ultimi vent’anni. Ha fatto anche L’isola dei famosi

In questi giorni di Vinitaly, il suo celebre poster della Valpolicella era appeso un po’ in tutte le enoteche e osterie in giro per la città. Qual è il suo rapporto con Verona?

«Come diceva Walter Chiari, Milano mi ha dato i natali, Verona le pasque. Io sono nato in provincia di Bolzano, ma a Verona ho fatto il liceo artistico che per me è stato fondamentale. Rapporti professionali con Verona ne ho pochi. Dopo la scuola ho iniziato a lavorare con case editrici di Milano e di tutto il mondo. Una volta qui c’era Mondadori e adesso non c’è più neanche quella. Ma a Verona ci vivo.»

Parlando di esperienze al di fuori dell’Italia, lei ha collaborato anche con la Marvel. Che cosa ne pensa?

«La Marvel ha creato una nuova mitologia che può stare alla pari con quella dell’Olimpo greco. Naturalmente anche la DC Comics ha inventato una grande mitologia. Però Chris Claremont e Stan Lee hanno inventato dei rapporti, dei meccanismi tra supereroi talmente complessi da riprodurre i conflitti sociali. Io l’ho fatto volentieri quel lavoro, penso che un fumettaro non possa definirsi un vero fumettaro se non ha fatto almeno una volta i supereroi. Alla fine sono alla base del fumetto. Noi li guardiamo un po’ dall’alto, alzando il sopracciglio, ma gli americani ci credono. Se consideriamo poi tutte le trasposizioni cinematografiche che ci sono, è un fenomeno importante. I ragazzini americani crescono con il mito di Superman.»

L’ho vista dialogare con Frank Miller un paio di anni fa a Lucca. Fu un incontro davvero interessante…

«Lui è sempre molto carino con me, ha scritto l’introduzione di diverse mie opere in America. Forse faremo qualcosa insieme.»