«Ma non sarà “troppo Tim Burton” questo film?»
«Ma non sarà “troppo poco Tim Burton” questo film?»

Impossibile non appartenere a una delle due scuole di pensiero; un tempo osannato per le sue opere impregnate sempre di un qualcosa di gotico, fantastico e bizzarro, Tim Burton è passato dall’essere un autore con una cifra stilistica ben riconoscibile e apprezzata anche dall’ultimo dei critici, a un furbacchione che rifà sempre le stesse cose trattando i medesimi temi: solitudine, emarginazione, paura ed accettazione del diverso, il tutto abbellito da una confezione ineccepibile, ma molto standardizzata. Sarà falso, sarà vero, ma è il destino che accomuna gran parte di quegli autori con una forte e artisticamente ingombrante personalità che, però, a un certo punto devono anche pagare la spesa al supermercato.

Dal momento che da queste parti si propende – forse un po’ ingenuamente – sempre per la buonafede delle persone, cercherò di credere che il nostro autore “ci sia” e non “ci faccia” pur convinto che, anche se dovesse far parte del secondo caso, sarebbe comunque una spanna sopra rispetto a tanti registi in circolazione (ma quanto sarebbe stato più bello, in mano sua, il già notevole musical The Greatest Showman?!?). 

Tim Burton nasce come un artigiano del Cinema, tanto che comincia la sua carriera come disegnatore (anche per la Disney in Red e Toby nemiciamici, seppur non accreditato), per poi costruirsi, mattoncino dopo mattoncino, un suo fantasioso mondo fatto di cupezza e di molta ironia, di chiaroscuri e di mille colori con i film realizzati come regista; più che sufficiente per convincerci che era la persona adatta per trasformare un cartone animato come Dumbo in un film con attori in carne ossa, o no? Chi meglio di lui, il freak per eccellenza, avrebbe potuto raccontare la storia di un elefantino volante? Dumbo, in fondo, è un “diverso”, anche lui un freak accolto in un circo di altri freak. Sì, il tema è sempre quello, è vero, ma ricordiamoci che il film originale è del 1941 e che Burton sarebbe nato solamente diciassette anni dopo.

Scartata l’ipotesi di far interpretare l’elefante con le orecchie più grandi mai viste ad Adam Driver, viene in aiuto l’animazione digitale; al di là del protagonista perfettamente “credibile” e “vivo”, personalmente mi ha disturbato un po’ l’abuso della tecnologia da parte di un regista da sempre attaccato ad una visione molto artigianale della Settima Arte. Le scenografie sono bellissime, il vecchio treno in corsa nella scena iniziale pure, ma la sensazione che qualcuno mi stesse fregando da dietro un computer c’era tutta. Per fortuna gli attori sono ancora indispensabili (anche perché, altrimenti, sarebbe stato un altro cartone animato…), perciò si rivede sempre volentieri Danny DeVito nella parte di un esagitato Danny DeVito, Michael Keaton nella parte di un viscido Michael Keaton, Eva Green nei francesi panni di una sensuale Eva Green (ormai la nuova musa del regista?) e Colin Farrell nella versione buona e sbarbata di Colin Farrell (sappiatelo: quando ha dei peli sul viso accadrà sicuramente qualcosa di losco…). Inevitabili i due buoni e saggi fratellini in un film concepito per tutta la famiglia, i quali sapranno aprire il cuore al proprio padre grazie all’aiuto di Dumbo e all’affetto che nutre per mamma elefante. Ecco, qui fate un po’ di attenzione, se volete accompagnare alla proiezione i vostri figli o nipoti: accanto a me c’era una bambina, direi di quattro o cinque anni, che, nei momenti più commoventi, ha pianto come una disperata, ma proprio urlando a squarciagola. Nel mio orecchio sinistro. Spero solo che qualcuno non si sogni di realizzare una nuova versione “live action” di Bambi

Tutto molto semplice, tutto molto lineare, tutto molto prevedibile, ma anche tutto molto ben concepito e realizzato e dubito che, con un soggetto simile, qualcuno avrebbe saputo far di meglio.
Quindi, come siamo rimasti? Troppo Tim Burton o troppo poco Tim Burton? Per questa volta direi il giusto.

Voto: 3,5/5

Dumbo
Regia di Tim Burton
Con Colin Farrell, Danny DeVito, Eva Green, Michael Keaton, Alan Arkin, Lucy DeVito e Joseph Gatt