E sono sette. Sette stagioni consecutive in Serie A per l’Hellas e per tutti coloro che amano i colori gialloblù, sette stagioni in cui Verona si prende il posto sul palcoscenico che le spetta insieme alle grandi del calcio italiano. Sette tribolazioni comprese nel prezzo del biglietto, o meglio, comprese in un tifo che non conosce altra via se non quella della sofferenza, che quest’anno si è fatta sentire forse più del solito.

Il Verona ha convinto poco, ma ha vinto abbastanza. Forse è mancato nel reparto delle idee e del talento, ma ha saputo compensare nei momenti più critici con quegli attributi che rappresentano il più grande valore di una squadra che vuole salvarsi. Gli attributi sono emersi ieri sera, nella partita dei timori e dei tremori, contro un Empoli agguerritissimo che nelle ultime settimane sembrava aver cambiato marcia, deciso a bilanciare un digiuno di venti giornate senza vittorie con tre partite-miracolo. E che per poco non ce l’ha fatta.

Il Verona al “Castellani” ha realizzato due imprese: la prima e più importante è stata raggiungere la tanto desiderata salvezza, la seconda – forse non indispensabile ma comunque preziosa – è stata quella di salvarsi con le proprie forze, senza favori dagli altri campi né biscotti dolciastri che rovinano il buon sapore della conquista.

Orecchio agli altri campi, tacchetti al “Castellani”

Se il cuore ricordava come ogni anno i lontani incubi di Piacenza e non si fidava dei “due risultati su tre”, la testa invitava a mantenere i nervi saldi: “Quando arriveranno buone notizie dall’Olimpico, Empoli e Verona non si faranno male e alla fine ognuno festeggerà sotto la propria curva”. O tribuna, visto che i toscani sono privi di una curva adeguata.

E invece la Serie A di maggio si dimostra completamente imprevedibile: il Parma rimonta un doppio svantaggio e vince la partita impossibile contro l’Atalanta, il Lecce contro la Lazio prima segna un gol clamoroso, poi perde un uomo e alla fine si mette il cappello con la coda di procione di Davy Crockett e difende Fort Alamo. Gli unici a rispettare i pronostici sono i veneziani, che ci provano, ci credono e poi si vedono soffiare la salvezza da un rigore della Juventus.

Con queste notizie dai campi contemporanei, tutti si aspettano un Empoli con il coltello tra i denti, pronto a scardinare quel Verona timido e sbiadito visto nelle ultime uscite, quel Verona che avrebbe potuto salvarsi cento volte e altrettante ha mancato il punto definitivo, quel Verona che, quando la pressione si alza, non ha mai dimostrato di saper tenere la barra a dritta. E invece, con le spalle al muro e l’avversario all’angolo, l’Hellas di Zanetti ha dimostrato di essere squadra e di non sentire tremare le ginocchia. Ha vinto la partita e il diritto di non condividere il merito né con la fortuna, né con le lacune altrui.

Il Verona combatte sulle barricate

Zanetti schiera una formazione da guerriglia: un solo attaccante, Sarr, per fare a sportellate, dietro di lui una linea Maginot di sei centrocampisti assortiti: due esterni a svolgere entrambe le fasi, Duda e Serdar a dirigere il gioco e a inventare qualcosa, Suslov a metà tra guastatore e incursore e Dawidowicz a fare legna e a tenere rilassati i tre difensori dietro. Una squadra abbastanza infame, perfida e tenace da salvarsi.

La partita è stata oggettivamente brutta. Persino i commentatori di Sky, a metà tra il giornalismo sportivo e la celebrazione del prodotto di cui fanno parte, hanno dovuto ammettere che la sfida “esteticamente non è stata il massimo…”. Pallonate, scarpate, ammucchiate. Proprio quello che il Verona voleva. Alla fine a fare la differenza sono state la “puntata” di Serdar, capace di incarnare tutte le caratteristiche del genio secondo il Perozzi: “Fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione”, e forse il primo cross ben indirizzato di Jackson Tchatchoua in tutta la stagione. Grazie Jackson, va benissimo così.

La palla passa alla società

La notte della salvezza e i giorni per smaltire la sbornia servono a ringraziare i ragazzi in campo, le emozioni travolgenti di Zanetti, il talento di Sogliano e soprattutto l’amore incondizionato e prezioso dei cuori gialloblù che rendono tutto questo circo del calcio qualcosa di più di un gioco. Passata l’adrenalina, però, sarà necessario riflettere su ciò che si è vissuto e su ciò che potrebbe essere il futuro. Perché, come ci ricorda il finale di Febbre a 90°: “La cosa stupenda è che tutto questo si ripete continuamente. C’è sempre un’altra stagione.”

La squadra ha vinto e ha fatto vincere la scommessa alla nuova proprietà, che lucidamente aveva previsto la salvezza per poi programmare un futuro diverso. La salvezza è arrivata, il futuro è tutto da scrivere. Oggi tifosi, giocatori e staff si godano il trionfo che si sono conquistati sul campo e sugli spalti; domani la palla passa alla dirigenza, a chi ha il dovere di raccogliere questi sforzi e trasformarli in un domani migliore.

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