Come il calcio spiega il conclave (e viceversa)
Se l’elezione di un nuovo Papa fosse vissuta alla stregua di un cambio in panchina della nostra squadra del cuore, come ragioneremmo?

Se l’elezione di un nuovo Papa fosse vissuta alla stregua di un cambio in panchina della nostra squadra del cuore, come ragioneremmo?
Vaticano, la panchina più calda: si decide entro una settimana.
Pronti per il dopo Francesco, tutto su due nomi.
Ufficiale: in Vaticano inizia una nuova era.
Perdonatemi. Non intendevo essere blasfemo. Semplicemente mi chiedevo con quali titoli uscirebbero i nostri quotidiani se, da un giorno all’altro, il conclave diventasse un affare sportivo invece che religioso. Come ragioneremmo se l’elezione di un nuovo Papa fosse vissuta alla stregua di un cambio in panchina della nostra squadra del cuore?
Mi rendo conto che l’accostamento, all’inizio, può risultare irrispettoso. Eppure calcio e religione hanno molti tratti in comune. Lo sapeva perfettamente pure Jorge Bergoglio, il più celebre tra i tifosi del San Lorenzo. D’altronde, trovatemi altre realtà, fisiche o spirituali, in grado di suscitare pulsioni e speranze in milioni di persone contemporaneamente. Indicatemi un’esperienza umana che si avvicini alla fede più del tifo per la propria squadra del cuore.
“Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo“, ricordava Pasolini. Aveva ragione. E se è vero che c’è stato un tempo in cui, in Italia, non esisteva campanile sotto al quale non si potesse trovare uno spiazzo polveroso dove ragazzini di tutte le età si riunivano a prendere a calci un pallone, capirete perché questa cosa di associare al football l’imminente conclave sia tremendamente seria. E meriti di essere approfondita.
Los papables. Fossimo su Netflix, avremmo già il titolo pronto per la serie. E pure il materiale per un po’ di puntate non manca. Correnti, età, convinzioni e provenienze più o meno esotiche dei cardinali sono gli ingredienti sui quali si dividono aspettative e speranze dei credenti. Gli stessi elementi che fanno scornare da anni le tifoserie di mezzo mondo. Meglio Mourinho o meglio Guardiola? Italiano o straniero? Chi non ci ha mai fatto almeno una discussione.
Entriamo nel merito della questione. Che tipo di Papa vorremmo per guidare la Chiesa da qui ai prossimi anni? Una figura che spalanca le porte al futuro o un difensore dell’ortodossia. Un fautore del gioco moderno, fluido e dinamico, oppure un risultatista duro e puro? Per rispondere con un minimo di senno, occorre prima interrogarsi sullo stato dell’arte. Sulla fase storica che la religione cattolica sta effettivamente attraversando.
Senza andare indietro nei secoli, mi limito alle tendenze attuali. Il cattolicesimo è certamente in una fase di ricerca della propria identità. Nel contempo, deve anche fare i conti con una generale perdita di affezione sia nel bacino dell’occidente che in alcune aree del mondo dove, fino a ieri, dominava. Non c’è più l’attaccamento di prima, diremmo nel mondo del pallone. Una scollatura che colpisce diverse aree della tifoseria, dalle poltronissime ai settori popolari. Al nuovo Vescovo di Roma, il compito di ricucire il tutto e tornare a riempire lo stadio.
Situazioni del genere, nel nostro pallone, le abbiamo viste e riviste. Ogni club, in base alla propria storia e alle ferite più o meno recenti, reagisce a modo suo. Essenzialmente, però, possiamo suddividere le risposte in due macro aree: chiusura a difesa del fortino oppure apertura e slancio verso il nuovo.
La prima reazione, spesso, segue al fallimentare esperimento della seconda. Quando il nuovo non porta i risultati sperati, si tende a rifugiarsi nel passato e nelle sue certezze. Non tutti possono essere Arrigo Sacchi. Perciò quando la Juventus vede crollare il progetto tecnico di Gigi Maifredi, torna indietro di qualche anno e si rifugia nel pragmatico abbraccio di Trapattoni. E nel ricordo dei trionfi degli anni ‘80.
Allo stesso modo una Chiesa colpita dai primi tentativi di “rivoluzione” di Francesco, con risultati quantomeno divisivi, potrebbe scegliere di chiudersi a riccio. Un po’ come quando cambi Allegri con Thiago Motta e, già a gennaio, inizi a guardarti indietro con nostalgia. E speri nel ritorno di Conte. Ecco quindi risalire le quote dei cardinali più “tradizionalisti”. Il congolese Besungu, dicono, o l’ungherese Erdo. Non cambieremo il mondo, ma rinsalderemo le mura, magari poi la sblocchiamo con un calcio da fermo.
Ontologicamente opposti ai tradizionalisti, troviamo i fautori della modernità applicata ad ogni sfera dello scibile umano. Il passato è alle spalle, non ha senso ragionarci su. Il calcio e la società evolvono in maniera sempre più rapida. Non mantenere il passo oggi può significare una sconfitta a lungo termine nella sfida per conquistare cuori e anime degli uomini.
Nel caso attuale, a rendere ancor più scivolosa la situazione, il fatto che l’ultimo titolare del soglio Pontificio fosse un rappresentante di questa stessa fazione. La Chiesa potrà scegliere di rimanere nel solco tracciato da papa Bergoglio, eleggendo un nome in netta continuità di visione, oppure abbandonare la rivoluzione precedente, sostituendola con un’altra. I nostrani Zuffi, Pizzaballa e il filippino Tagle sembrerebbero i più in auge tra i progressisti.
In sostanza i cardinali possono votarsi alla filosofia del Barcellona che, da trentacinque anni a questa parte, non rinuncia alla sua idea di gioco (col rischio di perdere semifinali di Champions come quella di qualche ora fa) oppure essere il Milan di oggi. Che dopo un anno e mezzo di “gruppo di lavoro” e vision americana sta portando avanti un conclave ben più lungo di quello romano. Ogni tifoso rossonero sa che arriverà prima il nome del nuovo Papa che quello del futuro DS.
Attenzione, le due principali ipotesi viste fin qui si basano su una premessa: l’idea che la Chiesa voglia un papa “forte”, in grado di tracciare, in una direzione o nell’altra, il cammino. Suppongo sia la speranza di molti fedeli, ma non è detto che il voto dei cardinali riesca a tradurre in realtà quest’aspirazione. In questo caso prenderebbe quota una figura mistica, in grado di rimanere a galla tra le onde agitate del calcio e della curia. Entrerebbe in scena il “traghettatore”.
Una categoria dello spirito più che una professione. Quella dei Tesser, dei Maran o degli Iachini. Lupi di mare esperti e consapevoli del proprio ruolo. Portare a termine stagioni nate storte, senza incorrere in naufragi. Se c’è da risollevare una situazione pericolosa, entrano in ballo uomini come Ballardini o Nicola. Se l’obiettivo è solo arrivare a maggio, va benissimo il tecnico della Primavera “ad interim”. Ora, io non saprei dirvi chi possa essere un reale traghettatore tra i papabili, forse Parolin, ma prendetela con le pinze. Posso però descrivere alcune delle caratteristiche richieste: toni pacati, capacità di tranquillizzare piazza e spogliatoio, pochi grilli per la testa e consapevolezza di avere un contratto a tempo. Anzi, un mandato a scadenza breve.
Arrivati fin qui, tra ipotesi e congetture varie, ci si rende conto che per scegliere una strada, c’è prima bisogno di rispondere ad alcune domande. Le stesse che hanno di fronte a loro i cardinali riuniti nella cappella Sistina. Che papa è stato Jorge Bergoglio? Che allenatore è stato per la Chiesa cattolica? Rivoluzionario reale o puramente di facciata?
Tutto sta nel chiarire cosa intendiamo con i due termini più frequentemente associati al pontefice argentino: cos’è davvero una rivoluzione? Quando inizia? E il rivoluzionario… è chi la porta a termine? O chi accende la scintilla? Sempre più domande, me ne rendo conto. Proviamo ad affrontarle.
Francesco ha certamente rappresentato un cambio di paradigma per il cattolicesimo, provando a spostare il baricentro di una Chiesa da decenni schiacciata sulle posizioni ereditate dalla Guerra Fredda e dalla lotta contro il “mostro” comunista. Fin dagli inizi del papato si è intestato battaglie e scelte innovative, a volte controverse, apprezzate da una parte dei fedeli e osteggiate dall’altra. Compresa buona parte della curia. Immaginate un nuovo tecnico, che eredita una formazione abituata dall’alba dei tempi a giocare col libero staccato dietro alla difesa, provare ad imporre la zona. Addirittura il fuorigioco. O hai la fortuna di trovarti in squadra Tassoti, Baresi, Costacurta e Maldini, oppure le idee restano sulla carta.
Quindi, Bergoglio è stato un fuoco di paglia? Un rivoluzionario ipotetico? Se siete degli appassionati dei giudizi storici dati in tempo reale, è innegabile che molte delle svolte da lui auspicate non si siano realizzate. Il tempo e la scelta dei cardinali, però, potrebbero rivelarci una figura troppo spesso misconosciuta. Quella di Vic Buckingham.
Nell’estate del 1959 sulla panchina dell’Ajax approda un tecnico inglese con idee diverse dai suoi connazionali e reduce dalle esperienze con Bradford Park Avenue e West Bromwich Albion. Buckingham arriva in Olanda portando in dote una FA Cup vinta coi Baggies e la convinzione che si possa andare oltre fisicità e lanci lunghi. Valorizzando il pensiero e l’abilità dei calciatori per sviluppare un calcio arioso e divertente, fatto di movimenti e consapevolezza tattica. Al primo tentativo arriva il titolo olandese poi, dopo un triennio a Sheffield, la seconda esperienza coi lancieri finisce con l’esonero.
Al posto di Buckingham viene scelto un suo ex giocatore, allenato proprio con la maglia biancorossa. Si chiama Rinus Michels e, dopo di lui, il calcio non sarà più lo stesso. Michels prende i principi appresi da Buckingham e costruisce su di essi l’Ajax che dominerà l’Europa, oltre alla spettacolare ma incompiuta Olanda finalista ai Mondiali di Germania ’74. È la rivoluzione del calcio totale.
Ritorniamo al conclave, senza una risposta definitiva. Perché tutto dipenderà dal nome che porterà con sé la fumata bianca che mezzo mondo sta aspettando. Se sul balcone di piazza San Pietro salirà un Rinus Michels, il processo di cambiamento auspicato Francesco potrebbe proseguire. Perché le rivoluzioni bruciano i cuori, ma poi hanno bisogno di tempo per sedimentare. Ardono sotto la cenere, sopravvivono ai loro ideatori e, se sono vere rivoluzioni, cambiano il mondo.
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