Un ambiente intimo in cui invitare primizie inaspettate: così potrebbe essere descritto l’Hotel Corte Ongaro, delizioso luogo posizionato in Borgo Roma. Giovedì 2 maggio sera l’ospite è stato Ben Ottewell, chitarrista e cantante degli inglesi Gomez, band che ha attraversato parte dei novanta e la prima decade dei 2000 in punta di piedi ma lasciando anche dei segni agli amanti della scena alternative. 

Il corpulento artista ha suonato al coperto, dovendo rinunciare al bel rooftop della struttura causa temperatura resa pungente dalla pioggia caduta nella giornata. Gremita la sala, debitamente approntata con luci evocative e impianto audio. Una dozzina le canzoni proposte nell’ora abbondante di concerto. Una serata da ricordare perché Ben Ottewell ha dimostrato di essere un artista fatto e finito, in grado di trasporre le sue composizioni su una chitarra acustica, mostrando una preparazione tecnica che francamente non prevedevo. E fin da subito, fin dalla prima volta che ha aperto bocca, Ottewell ha stupito anche vocalmente, modulando poi questo particolare strumento (ma di questo si tratta) durante il concerto, donando una dinamica cruciale in una proposta così minimale. 

Foto di Francesco Bommartini scattata durante il live a Corte Ongaro

Ma quello che forse ha stupito di più è la sua capacità di approcciare la chitarra. Non la sua, in questo caso, a causa della perdita del suo strumento durante il tragitto da Heathrow a Verona, come da lui stessi narrato. Impressiona in particolare la capacità di fingerstyle, con la costruzione di alcuni arpeggi davvero efficaci e variegati, pieni di spostamenti di mano sinistra e di veloci tocchi della destra. Tutto ciò senza dimenticare una capacità ritmica non comune, in grado di richiamare stili che si potrebbero anche pensare alieni se intersecati con il termine “alternative”. Un tipo di approccio che si estrinseca nel suo progetto solista, con tre album pubblicati a suo nome. 

Durante la serata sono stati estratti brani da entrambe le situazioni, Gomez e Ottwell solista. Così l’artista si è destreggiato tra Rattlebag e WhippinPicadilly, tra Blackbird e Rose, tra Make no sound e Free to run. Il tutto inframmezzato da qualche parola – ma non troppe, in Uk style – con qualche simpatico scambio con il pubblico, come quando ha detto che la bevanda che stava bevendo era juice invece di whiskey. Ma quello che resterà di questa serata all’Hotel Corte Ongaro sarà l’indie rock tramutato in intimismo da parte di un musicista vero. 

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