L’assemblea straordinaria Fipav ha ratificato le modifiche allo Statuto Federale in attuazione del Decreto Legislativo n° 36 del 2021. Oggetto delle revisioni normative l’abolizione del vincolo sportivo. Una rivoluzione nel sistema pallavolo storicamente legato alla logica del tesseramento e vincolo di lunga durata.

Le origini del cambiamento

Con la Legge Delega n° 86 del 2019, attuata dal già citato d.lgs. numero 36 del 2021, il Governo ha introdotto l’istituto del contratto di lavoro sportivo anche nello sport dilettantistico, con contestuale superamento e abolizione del vincolo sportivo. Un’impostazione legislativa più volte confermata anche negli scorsi mesi, e mai posta in discussione, che ha obbligato la Fipav a procedere verso una revisione del proprio Statuto, pena ingenti sanzioni. Inizialmente si era pensato che tali modifiche sarebbero state introdotte in modo progressivo, senza traumi.

Viceversa, proprio a causa di un’impostazione legislativa estremamente rigorosa, non si sono potute attuare soluzioni intermedie (esempio: vincolo fino ai 18 anni). Forse, con limitazione del vincolo ad alcune specifiche casistiche, si sarebbe potuto traghettare con buon senso un movimento del tutto impreparato agli effetti della riforma.

L’assemblea Straordinaria riunitasi a gennaio 2023 ha, quindi, recepito in forma integrale le indicazioni legislative. I cambiamenti avverranno ad inizio 2024, ma in realtà gli effetti della riforma si avvertiranno già dall’avvio della prossima stagione.

Cosa cambia

Il vincolo sportivo, dall’entrata in vigore delle nuove norme, in assenza di un contratto di lavoro sportivo pluriennale, avrà durata pari a 12 mesi. Non ci saranno eccezioni. L’anno si intende coincidente con la stagione sportiva che, nella pallavolo, parte dal 1° luglio e termina il 30 giugno dell’anno successivo. Al termine del vincolo annuale, l’atleta potrà liberamente decidere di vincolarsi nuovamente con medesimo sodalizio o con uno diverso. Alla società, qualora l’atleta decida di cambiare squadra, non saranno corrisposti indennizzi e premi, salvo quanto disposto diversamente da regolamenti federali. In tal senso, però, pare ci sia molta prudenza e nessuna deroga alla ratio legis.


In sostanza, l’unico modo che le società sportive hanno disponibile per vincolare un atleta è quello di fargli sottoscrivere un contratto di lavoro sportivo pluriennale con diritti e doveri annessi. Tra essi, il versamento dei contributi previdenziali, nella misura in cui risultassero dovuti. Si può ben capire come queste prescrizioni mal si adattino ad atleti minorenni. Rimane, infatti, questione controversa l’età a partire dalla quale si può far sottoscrivere un contratto di lavoro sportivo. In particolar modo sotto i 16 anni permangono parecchie perplessità.

Il contratto sportivo sarà, dunque, l’unico modo per costruire un legame di lunga durata tra società sportiva e atleta in base agli anni concordati. Si ben comprende come, in un ambiente affatto incline alla regolarizzazione di rapporti e affatto avvezzo al pagamento degli oneri previdenziali, questa norma sia difficile da digerire.

Rivoluzione epocale

Se pensiamo al mondo sportivo contemporaneo e alla storia dell’associazionismo italiano basato per larga parte sul volontariato o forme del tutto atipiche di collaborazione, la portata della riforma è evidente. Fino ad oggi, infatti, gran parte delle società sportive si autofinanziavano anche attraverso la valorizzazione dei propri cartellini (compravendita e prestiti). Tutelavano la continuità dei propri investimenti nei vivai attraverso il vincolo e ricevevano eventuale indennizzo qualora l’atleta avesse voluto svincolarsi (in ogni caso operazione non facile e, il più delle volte, controversa).

Oggi questo sistema non vale più. Viene dato un taglio immediato e tombale alle continue discussioni tra società sul corrispettivo dovuto per accaparrarsi i servigi di atleti vincolati (dispute che, in assenza di accordo, portavano al temporaneo blocco dell’attività agonistica del giovane in procinto di cambiare casacca in attesa di pronunce della giustizia sportiva e ordinaria).

Viene poi interrotta alla fonte una delle principali forme di finanziamento delle prime squadre (i prestiti onerosi ad altre società). Viene, infine, tagliato il cordone ombelicale tra atleta e propria società sportiva che, pur con qualche zona d’ombra, ha da sempre caratterizzato il fondamento del rapporto associazionistico.

I pro

Moltissime società sportive hanno basato il proprio brand su una valorizzazione dei vivai. Non in tutti i casi sono state scelte strategiche mosse da spirito associazionistico e sociale al grido di: “facciamo crescere i nostri giovani”. Al fianco di molte società sportive virtuose, etiche e orientate ad offrire servizi di qualità in relazione alle risorse disponibili, altre realtà negli anni hanno sposato un format molto simile alla tradizionale attività d’impresa. Un meccanismo in cui gli atleti erano materia prima di una catena di produzione con tanti fisiologici scarti. Sistema, per giunta, alimentato quasi mai da finanza propria, ma sostenuto da contributi esterni forniti da sponsor e partner con modalità non sempre trasparenti.

In sostanza, la norma attuale potrebbe instaurare un cambiamento di usi e costumi dell’associazionismo sportivo tale da scardinare alcuni elementi di dubbio valore etico.
Oggi l’atleta è libero di scegliere l’offerta migliore, la squadra a lui più gradita, l’ambiente più sano e qualsiasi altra variabile di proprio interesse. Libertà però equivale a responsabilità nelle scelte e alla necessità di conoscere le caratteristiche delle possibili offerte presenti sul territorio. E qui passiamo alle note dolenti.

I contro

Scegliere, specie quando si è giovani e magari mal consigliati (anche dalla propria famiglia, per ambizione ad esempio), non è semplice. Se prima, alla firma del vincolo, atleta e genitori si affidavano ad una società sportiva, magari la più vicina a casa, o quella più conosciuta, o quella con fama migliore, oggi tale scelta deve essere ripetuta continuativamente, ossessivamente ogni anno e in una logica di totale libero mercato, senza un orizzonte temporale di lungo periodo. Nello sport, però, nulla si costruisce nel breve tempo e forse alla perseveranza, alla pazienza e alla continuità, si sostituiranno logiche schizofreniche del tutto subito, ora o mai più. Logiche che aiutano soprattutto quelli che vendono più fumo che arrosto, che usano invece di sviluppare. Quelle società che vedono l’atleta come un mezzo per arrivare al successo immediato, invece di farlo crescere in vista di un eventuale successo futuro.

Il rischio: il dominio dei procuratori

I procuratori, si sa, sono professionisti che esercitano la propria attività a scopo di lucro e che offrono ai propri assistiti una vasta gamma di opportunità, ma che non sempre curano gli interessi degli atleti sul lungo periodo. Se questo è vero e sopportabile (o considerabile come male minore) a livello professionistico, nel mondo dello sport giovanile è una questione estremamente pericolosa.
Eppure, se pensiamo che un atleta ogni anno sarà sul mercato, non è improbabile ipotizzare che fin dai 13/14 anni tutti gli atleti migliori di un territorio verranno presi d’assalto dai procuratori. Oggi per fortuna non è quasi mai così, ma domani?
Il rischio concreto è che l’atleta passi dal firmare un vincolo con le società, ad un vincolo ben più pericoloso con i procuratori, soggetti che, per proprio legittimo scopo, mirano al profitto. Situazione ben diversa da quella delle associazioni sportive dilettantistiche, nella quale, per lo meno, il lucro dovrebbe essere reinvestito per gli scopi statutari e a favore dei propri associati.

E le società?

Le società potrebbero decidere in toto di chiudere i vivai e di smettere di investire negli stessi, a fronte di un’assenza di tutele dell’investimento stesso.

Sarà così? ne dubitiamo. Per molte società fare giovanile è lo scopo originario e fondante, quindi irrinunciabile. Per altri è una necessità imposta dal contesto sociale e politico, per altri ancora è un modo per valorizzare il proprio marchio. Per tutti è il principale strumento per rinnovare nel tempo la propria associazione, nelle persone, nei collaboratori. Quelli che oggi sono atleti e genitori, un domani possono essere allenatori, dirigenti, arbitri, volontari.

Forse nel breve periodo qualcuno sceglierà la strada del disinvestimento, come è naturale che sia, ma è possibile che molti altri vedano in questa riforma opportunità nuove.

Possibile anche che qualcuno saprà riscoprire il valore del concetto profondo di associazionismo (sovente dimenticato). Qualcuno che saprà mettere in pista diverse e innovative idee per fidelizzare i propri atleti. Magari attraverso un percorso che punti ad una maggiore qualità dei servizi offerti, inserendoli in un ambiente positivo, scoprendosi capace di iniziative accessorie alla tradizionale attività sportive che permettano di distinguersi dalla concorrenza.

In questo senso è probabile che chi saprà innovare, chi saprà fare qualità, non avrà bisogno di chiudere le palestre. Anzi, vedrà migliorato il proprio posizionamento nel territorio di appartenenza. Certo, servirà pensare con schemi nuovi e senza preconcetti. Stare fermi oggi, rifarsi a modalità tradizionali di fare sport, può essere un errore capitale.

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