Le prime quattro gare della stagione 2022 della MotoGP hanno raccontato di un Mondiale tutt’altro che scritto, difficile da interpretare e dove non c’è un dominatore assoluto. Nonostante il doppio successo di Enea Bastianini tra Qatar e Stati Uniti, il tabellino vede tre vincitori diversi su tre moto differenti, a dimostrazione che nulla vada dato per scontato. Ducati, KTM e Aprilia possono vantare quantomeno un successo a testa in questo avvio di campionato, con il trionfo della casa di Noale in Argentina a coronare una scalata verso la vetta durata circa sette anni.

Tuttavia, i meri numeri spesso non riescono a fornire un quadro completo della situazione, perché capita che quegli stessi numeri abbiano bisogno di essere interpretati. Lo dimostra la prima parte di campionato della Suzuki, partita in sordina per crescere fino al doppio podio conquistato nelle due tappe americane. Più altalenante è stato il campionato di Honda e Yamaha, in parte per la qualità delle rispettive moto, in parte per la difficoltà dei piloti nell’adattarsi alle novità introdotte per il 2022.

Ducati: una strana costanza

All’apparenza, due vittorie e cinque podi potrebbero sembrare un ottimo bottino per la squadra di Borgo Panigale, che anche quest’anno sembra avere tra le mani un pacchetto molto competitivo. Un inizio di stagione positivo in termini di risultati, tanto che al momento si trova in testa alle classifiche riservate ai piloti e ai costruttori. In particolare, in quest’ultima può contare anche su un considerevole vantaggio di ventisette punti, un bottino importante considerando le sole quattro gare fino ad ora disputate.

Discorso che cambia approfonditamente osservando la tabella riservata ai team, dove i quattro team spinti dalla moto italiana non riescono ad andare oltre il quinto posto, occupato dal team clienti Gresini. Qualcosa che si può spiegare osservando l’andamento dei risultati dei piloti, dove si evince una strana costanza.

In ogni Gran Premio disputato nel 2022, Ducati si è sempre giocata quantomeno una posizione del podio, con l’Indonesia unico appuntamento dove non è stata in grado di portare a casa un trofeo. Un aspetto che conferma nel complesso la bontà del pacchetto, ma che si va a scontrare con il problema di fondo della vicenda, ovvero la scarsa continuità dei piloti. Enea Bastianini ha centrato due vittorie a Losail e Austin, ma non è riuscito a essere altrettanto incisivo a Mandalika e al Termas de Rio Hondo, concludendo in entrambi i casi ai margini della top ten.

Ancor più strano è stato l’andamento dei portacolori del team ufficiale, Jack Miller e Francesco Bagnaia, con quest’ultimo che non è stato in grado di rispettare le aspettative della vigilia. Tralasciando la tappa argentina, l’australiano spesso si è dimostrato competitivo, centrando un quarto e un terzo posto in Indonesia e negli Stati Uniti, mentre in Qatar era stato costretto al ritiro per un problema tecnico. Ciò che gli è mancato è stato quello step in più per issarsi stabilmente come punto di riferimento tra i piloti Ducati. Più complicata la situazione del compagno di squadra, che non ha mai davvero brillato in questo avvio di stagione, tanto da ritrovarsi con due zero in classifica che pesano come un macigno. Dall’appuntamento sudamericano le performance sembrano migliorate, complice anche una bella rimonta a seguito di una qualifica complicata, ma il quinto posto finale di Austin ha riaperto qualche dubbio dopo una prova anonima.

Costanza che deve trovare anche Jorge Martin, uno dei prospetti più interessanti del motomondiale, capace di fare la differenza in qualifica con pole position alla vigilia inaspettate, a cui però manca ancora quel piccolo passo in avanti sulla lunga distanza. Prosegue l’apprendistato di Marco Bezzecchi con il team VR46, al suo debutto in categoria, mentre è senza dubbio da rivedere l’approccio di Luca Marini, che non è stato in grado di fare la differenza sul compagno di casacca nonostante la maggiore esperienza.

Yamaha: prondo rosso blu

Non è un mistero che alla vigilia del Mondiale, l’attuale campione del mondo in carica si aspettasse qualcosa di più dalla moto 2022. Durante le interviste, infatti, Fabio Quartararo non aveva nascosto gli aggiornamenti introdotti dalla squadra giapponese potessero non rivelarsi sufficienti per riuscire a difendere il titolo. Seppur sul calendario manchino ancora oltre quindici tappe prima della bandiera a scacchi di fine stagione, l’inizio di campionato non è stato dei più felici con la Yamaha, con la pole e il podio di Mandalika a rappresentare l’unica soddisfazione di un 2022 fino a questo momento amaro. Una situazione ancor più preoccupante considerando che solamente il francese è riuscito a concludere con continuità in top ten, mentre gli altri piloti della casa di Iwata hanno faticato a prendere le misure della nuova moto, compreso Andrea Dovizioso.

Nonostante i continui progressi, probabilmente era lecito aspettarsi qualcosa di più dall’italiano, anche se il lungo periodo passato in Ducati e le difficoltà nell’adattarsi a uno stile differente potrebbero aver lasciato degli strascichi difficili da colmare nel breve periodo. Delude Franco Morbidelli, lontano anche da quei risultati che era riuscito a ottenere in Petronas nel 2020, il suo anno di grazia nella categoria regina. Un quadro che, al di là delle specifiche carenze di fiducia da parte dei piloti nel riuscire ad estrarre il massimo dal pacchetto a disposizione, evidenzia soprattutto il lungo lavoro che attende Yamaha per tornare stabilmente in vetta.

Aprilia: una gradita sorpresa

Tra le grandi protagoniste delle prove prestagionali figurava l’Aprilia, che sembrava avere tra le mani una moto con cui di giocare al tavolo dei “grandi”. I test, però, sono pur sempre test e vi era il dubbio che la casa italiana potesse reggere quel ritmo anche in un weekend di gara, soprattutto in qualifica, vero tallone d’Achille che costringeva spesso i piloti a corse in rimonta. Aspetto colmato in parte per il 2022, come testimonia la pole position conquistata in Argentina, trasformata poi nel primo successo dal rientro nella categoria regina del motomondiale, per la gioia di tutte quelle persone che avevano lavorato duramente per otto anni per rendere il progetto una realtà vincente.

Un trionfo che si andava ad aggiungere alla buona performance mostrata nella gara di apertura, dove Espargarò aveva mancato il podio per soli nove decimi. Al netto di un quarto posto positivo ma che lasciava un po’ l’amaro in bocca per l’opportunità sfuggita, era un chiaro segnale di come la squadra di Noale avesse effettivamente fatto dei passi in avanti. Qualcosa di cui aveva bisogno, non solo per provare a sé stessa che il lavoro dei mesi precedenti fosse andato nella direzione giusta, ma anche per dimostrare al nuovo arrivato, Maverick Vinales, di avere dalla sua una squadra dal grande potenziale. Allo spagnolo, reduce da un burrascoso divorzio dalla Yamaha, serviva un’iniezione di fiducia e, nonostante non sia riuscito a pareggiare i risultati del compagno di box, la crescita complessiva del team non può far altro che lasciargli un sorriso.

La vittoria del Termas de Rio Hondo, però, non rappresenta un punto d’arrivo per l’Aprilia, piuttosto quello di partenza. Riuscire a ricongiungersi con il gruppo è la parte più semplice del processo, a dispetto di una differenza di budget con le marche più rinomate. Il passo più complicato è trovare quei pochi decimi mancanti per confermarsi veloci su ogni pista e in ogni condizione.

Suzuki: un continuo crescendo

Dopo un 2021 in cui non era riuscita a replicare i successi conquistati nel 2020, la nuova stagione rappresentava una grande incognita per Suzuki. Le sole qualità a livello telaistico non sembravano ormai più sufficienti per tenere a bada la concorrenza, specie nel momento in cui il gap di motore rappresentava il vero punto debole della moto. Per questo, i tecnici della casa giapponese avevano lavorato duramente per riuscire a fornire ai propri portacolori un’unità più potente e affidabile, in grado di non accusare il colpo e reggere il passo dei rivali.

I primi riscontri dei test avevano fornito indicazioni positive, ma il confronto con gli avversari era aperto, con la pista come terreno di scontro. Negli appuntamenti del Qatar e dell’Indonesia la casa giapponese non aveva impressionato, non tanto per una mera mancanza di performance, ma perché non aveva saputo lasciare il segno.

Un netto cambio di passo arrivato poi in Argentina, con la conquista del primo podio della stagione dopo un lungo duello con la Honda di Pol Espargarò, poi bissato la settimana successiva con un’altra bella prestazione in terra statunitense. Due podi che danno fiducia alla squadra, anche perché l’ultimo Gran Premio presentava un lungo rettilineo dove la Suzuki non ha di certo sfigurato. Le doti ciclistiche e telaistiche sono rimasti i punti forti della moto, che ora può contare anche su un motore che, seppur non ancora alla pari con quelle degli avversari più diretti, ha fatto grossi passi in avanti. La stagione è ancora lunga, ma le sensazioni sono positive.

Honda: Marquez è ancora in fase di rodaggio

In questo avvio di stagione in casa, Honda ha senza dubbio pagato un Marc Marquez non ancora in perfetta forma, complice i postumi dell’incidente di due anni fa e il problema alla vista accusato in seguito all’high-side dell’Indonesia. La rimonta del Gran Premio delle Americhe ha dimostrato come lo spagnolo, su quelle piste che in passato lo avevano visto dominare, sia ancora in grado di fare la differenza e lottare come un leone. Il problema è trovare quella costanza anche in altri appuntamenti, aspetto che ancora oggi non gli permette di arrivare ad un appuntamento con la sicurezza di potersi giocare la vittoria.

Un elemento chiave che si aggiunge alle difficoltà Honda, in parte dovute alla classica “sindrome Marquez”, dall’altra per una moto che non ha impressionato. Nonostante le buone performance di Pol Espargarò in Qatar e in Argentina, lo spagnolo non sembra ancora in grado di trovare quella continuità necessaria per rimanere sempre davanti, alternando risultati convincenti ad altri più anonimi. Manca ancora quella fiducia per estrarre del tutto il potenziale di un mezzo che rispetto al 2021 si è rinnovato sotto molteplici aspetti, per quanto il DNA sia rimasto lo stesso.

Anche Marquez ha faticato a trovare quel feeling degli anni passati, quelle sensazioni che gli avevano permesso di sconfiggere la concorrenza, ma è chiaro che, per il momento, ne rimanga comunque il miglior interprete. Osservando anche gli altri piloti della “casa alata”, Alex Marquez non ha mostrato miglioramenti sensibili rispetto al 2020 e al 2021, mentre Takaaki Nakagami rimane un’incognita: i risultati finale non raccontato del tutto la sua competitività, ma dietro ogni gara vi è sempre stata una ragione per cui non è stato in grado di raccogliere i frutti del suo lavoro.

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