È pronto a tornare live Federico Poggipollini, chitarrista di Ligabue e autore solista. Lo farà proprio nel veronese, a Villafranca, domenica 20 febbraio nell’Esotheric Theater di via Remagni 6 (prenotazione obbligatoria al numero 347.5265629) con l’evento organizzato dalla veronese Anthill Booking e da Django Concerti. L’abbiamo intervistato parlando ovviamente di musica, suoni, dischi, canzoni e molto altro.

Federico, che rapporto ha con Verona?

«Ho ricordi unici. Credo di averci fatto l’esperienza più bella a livello musicale, cioè il concerto del 2008 in Arena, videoregistrato e suonato insieme all’orchestra. Un valore aggiunto. Sabiu fece gli adattamenti. A Villafranca invece promuoverò un album molto importante per me che si chiama Canzoni Rubate. Creerò delle basi con una loopstation e ci suonerò sopra. È uno spettacolo a cui ho lavorato tanto e in cui proporrò l’album, uscito in cd e vinile. L’ho consegnato di recente anche a Bonaccini. È un album di cover. Ma avevo bisogno di qualcosa che legasse l’atmosfera dei singoli brani e quindi ho fatto anche degli interventi strumentali. L’unico brano inedito è Delay, che avevo composto in passato e mi sembrava giusto per il lavoro. Ho fatto molte cover prima di scegliere quali tenere.»

Ci sono due ospiti principali nel disco. Come sono nate le collaborazioni con Finardi e Morandi?

«Con l’ultimo avevo collaborato nel 1989 per un album che si chiamava come il brano che ho inserito nel mio disco: Varietà. Ho un ricordo legato al fatto che in quel periodo, durante la promozione, Mario Lavezzi, il compositore del pezzo, entrò in camerino e ci suonò la canzone. Mi colpì molto. Ci ho lavorato tanto, l’ho fatta più rock e veloce, cambiando anche alcune parti armoniche e cercando di renderla attuale. L’ho mandata a Gianni Morandi chiedendo se era interessato ad un featuring. Dopo un’ora mi ha richiamato dicendomi che il giorno dopo sarebbe andato in studio a cantarla. Idem per Trappole con Finardi. Eravamo in pieno lockdown. Ho messo a disposizione uno studio di amici a Milano. Gli è piaciuta molto la mia versione. L’altro ospite è un amico, Federico Cimini, giovane cantautore. Volevo fare qualcosa di legato a un momento nuovo. Ma lui è innamorato di Monnalisa e così ha interpretato quella, nonostante l’avessi già fatta in passato con il figlio di Ivan Graziani, Filippo.»

All’inizio degli anni Novanta ha collaborato anche con i Litfiba. Che ricordi ha a riguardo?

«È stata un’esperienza importantissima, anche per diventare musicista. Prima suonavo con Radio City e Tribal Noise. Ma con Morandi ho capito che potevo guadagnare qualcosa. Mi è stato quindi proposto di fare un provino per i Litfiba a Firenze. Io sentivo la necessità di capire la musica, anche per farlo diventare lavoro vero. Il provino andò bene. Così abbiamo iniziato a lavorare sull’album successivo. Io feci le ultime due date del tour di Pirata, e poi lavorammo su El Diablo. Per i Litfiba era un momento di transizione, in cui erano rimasti solo Ghigo e Piero. Ho imparato tanto dai musicisti coinvolti, anche sotto il profilo della disciplina. L’esperienza è durata per tre anni, con tournée lunghissime, soprattutto all’estero. All’epoca i Litfiba erano molto famosi in Francia. Il disco andò talmente bene che passarono ai palasport. Stavano esplodendo. Poi ho fatto Sogno Ribelle, quindi Terremoto. Io ero un turnista. Capivo che non potevo servire troppo. Così continuai con un progetto prodotto da loro. Ricordo influenze grunge, e un po’ prog. Poi tramite Rigo Righetti, bassista de La Banda, ebbi un provino per un artista di cui non sapevo il nome. Si trattava di Ligabue: iniziammo dopo un tributo ai Nomadi e poi a lavorare su Buon compleanno Elvis

Un album di riferimento per la musica italiana tutta. Tra l’altro ho visto il documentario È andata così su RaiPlay, proprio dedicato a Ligabue: stupendo. Esce tutta la sua sensibilità umana e musicale. Io apprezzo Ligabue, in particolare l’album Miss Mondo 99

«È un disco arrivato a tutti. Uno dei miei preferiti è Fuori come va?, ma riconosco nel precedente un bellissimo album. Ci sono canzoni che hanno qualcosa in più, anche ascoltate ora. Sono profonde, raccontano cose che anche ora trasmettono. C’è tanta verità.»

Il pezzo che preferisco è E. Ma Una vita da mediano, Si viene e si va, L’odore del sesso, Kay è stata qui sono splendide…

«L’ultima che hai nominato era scritta in modo diverso rispetto ad altri brani dell’album. Era stata scartata da Buon compleanno Elvis. C’è un bellissimo assolo di tromba. Tanto bello che rimasi male quando dovetti fare il mio di chitarra. Ma il mix di sonorità serve in un album così lungo. Per L’odore del sesso la versione definitiva è anche quella più immediata.»

A livello chitarristico mi ha sempre stupito la cremosità del suo suono. Che setup usa?

«Luciano chiese già nei primi provini un suono vicino ai Rem e ai Rolling Stone. A cose calde, con una chitarra con sapore chiaro e con carattere. Io e gli altri della band eravamo già vicini al sound di Springsteen e a quei riferimenti. Buon compleanno Elvis ha una band vera che suona, con chitarre legate a quel suono, i Vox, Les Paul ecc. Tutto il suono è fatto con le dita, pochi pedali, niente delay e riverberi. Poi in fase di mix qualcosa si poteva aggiungere, ma il calore viene dalle mani. Abbiamo registrato dall’inizio alla fine, senza grandi tagli. Idem per Miss Mondo, anche se io ho percorso un’idea più effettistica, usando delay e ebow (ricordo il Memory Man). All’epoca avevo un Fender Deluxe con una Deluxe come chitarra, quindi montante mini humbucker. Molto squillante e definita.»

Quali sono i chitarristi che l’hanno influenzata di più?

«Tra gli italiani mi piace Solieri, nei dischi di Vasco. Ha lasciato tantissimo. Giovane c’è Mattia Tedesco, che ho sentito e conosciuto. Collabora come turnista con molti. Anche Ricky Portera, Bruno Mariani…sono musicisti che quando ascolto i dischi relativi (esempio di Dalla, che amo) apprezzo. E Dandy Bestia degli Skiantos, perché ascoltavo la band che avevo sotto casa, bolognesi come i Gaznevada. Non sono però nato con la musica italiana. Prima apprezzavo l’internazionale. Io sono un grande fan dei Clash. Che hanno un’attitudine di un certo tipo. Basti pensare alla varietà di Sandinista

Spesso Ligabue, così come Vasco, è un capro espiatorio delle critiche anche di chi vive l’underground.

«Ci sta che ci siano persone che apprezzano e no. Ma quando fai così tanta storia, arrivi a così tante generazioni, converrebbe stare zitti. È veramente rara questa cosa. Poi hanno fatto sempre cose nel loro mondo. Anzi, forse l’unica critica che gli si può avanzare è che c’è uno stampo talmente chiaro che ogni nuova canzone può sembrare già sentita. Ma lo stesso hanno fatto i Rolling Stones. Quindi questa andrebbe vista come analisi di un grande marchio e non come una critica.»

Se dovesse scegliere una canzone di Ligabue quale sarebbe?

«Una canzone che mi ha sempre colpito, nel fatto che è una canzone fatta in pochi minuti, con lo stesso arrangiamento immediato, è Quella che non sei da Buon Compleanno Elvis. Ha un groove unico.»

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