«…ogni giorno si può avere un attimo di bene.» Le parole del poeta Franco Arminio, riflettono bene la luce che sembra persa – speriamo solo dimenticata – del senso del Natale.

Ultimamente ci siamo abituati a leggere e sentire che dobbiamo salvare il Natale; ma al di là di contenuti che riguardano la politica o l’economia, da cosa dovremmo salvarlo? Per chi o cosa dovremmo farlo?

Forse, invece, è proprio il Natale che dovrebbe salvarci: dall’indifferenza, spesso cieca e mortifera, che riguarda non solo il periodo a lui dedicato, ma il quotidiano.

Durante i giorni di Natale veniamo catapultati, più o meno consapevolmente, nello scorrere della ricerca di senso, della direzione della nostra esistenza, con la vertiginosa sensazione e percezione che spesso siamo marionette di quel mondo indifferente agli spazi vuoti tra i regali e tra i battiti cardiaci, accelerati per la corsa alla felicità come unica terra promessa. Ed è proprio in questa indifferenza che talvolta si rimane intrappolati e ci si perde nella vana ricerca di un motivo e di uno scopo che spesso nulla hanno a che vedere con il senso profondo del Natale; che, invece, è quel momento in cui ci viene data l’occasione per fare luce dentro di noi, attraverso il nuovo che faticosamente nasce ogni anno; nei riti e simboli che appartengono al collettivo prima che al religioso.

E così il Natale ci può salvare, mettendoci in crisi e di conseguenza permettendoci di fare luce oltre ai regali, allo scintillio e all’albero, per ritrovare quella dimensione del sacro che appartiene alla vita, e del rito che permette al nuovo di fare il proprio ingresso, accogliendolo senza giudizio. Restituendo alla speranza gesti attivi e vivi.

I momenti di crisi hanno il difficile ma importantissimo compito di farci vedere cosa c’è che non va e ci spingono a compiere una o più scelte per crescere, andando oltre e accogliendo ciò che di nuovo sta per nascere, o già è nato e ha solo bisogno di avere spazio per vivere il proprio tempo. Ma nella rete del consorzio umano, questo nuovo nato è anche “cosa” e soprattutto “chi” oltre a noi (ma dentro di noi), prima e dopo il giorno di Natale, vive un profondo disagio, perché troppo lontana si è rifugiata la dimensione di senso o troppo lontano lo hanno spinto gli anni anagrafici, recludendolo in una solitudine grigia e fredda senza Amore.

Durante questo periodo dell’anno aumentano i “casi” di solitudine estrema, quella che porta a gesti senza ritorno o che amplifica le richieste di aiuto nel teatro di quella disperazione che di umano ha veramente poco.

Il Natale, in questo caso, funge da lente di ingrandimento, mette in evidenza ciò che già c’era. Non scatena le problematiche ma le evidenzia, le manifesta; la solitudine, la miseria, la paura, la malattia, le guerre… sono presenti sempre.

Allora, non restare indifferenti nei confronti di chi (talvolta vicinissimo a noi o addirittura dentro di noi) è solo, di chi è in difficoltà, di chi “la crisi è così profonda da non riuscire”, è la potenza della vera luce del Natale la quale, come ci ricorda sempre Arminio, ha bisogno che «restiamo vicini, strofiniamo il buio per farne luce», tutti i giorni.

Fare luce

Lo so che ognuno è il gigante

delle sue ferite,

ognuno è dentro una lotta

senza fine.

Non c’è riparo al guasto

che ci attende,

non si può diluire la morte,

ma ogni giorno si può avere

un attimo di bene,

si può con umana pazienza

guardare questo mondo

che si scuce.

Se nulla è sicuro

e nulla sembra vero,

restiamo vicini,

strofiniamo il buio

per farne luce”.

Franco Arminio

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