Per una volta a tradire il Chievo non è stato l’attacco, spesso accusato anche da queste colonne di essere il punto debole della squadra, ma la difesa. Già, perché al “Pier Luigi Penzo” di Venezia, sulla splendida e poco conosciuta isola di Sant’Elena, ieri è andato in scena il festival degli orrori della retroguardia gialloblù. Che già contro l’Empoli aveva concesso – in quel caso con l’errore di posizionamento di Cotali che aveva tenuto in gioco Mancuso in occasione del primo gol dei toscani – qualche sbavatura di troppo.

Questa volta a finire dietro la lavagna sono stati Leverbe e Gigliotti, i due difensori centrali che hanno permesso alla squadra lagunare di prendere il largo nel punteggio e portarsi a casa l’intera posta in palio. Il 3-1 finale, infatti, è frutto soprattutto di un secondo tempo “scellerato” della difesa, che ha fatto acqua da tutte le parti. L’inutile e ingenuo fallo da rigore di Leverbe, commesso in occasione del 2-0 trasformato dagli undici metri da Forte, e la lentezza con cui Gigliotti ha chiuso sulla volata di Johnsen, abile a scendere sulla destra, entrare in area e mettere un pallone in mezzo che Di Mariano ha dovuto solo appoggiare in rete, sono stati colpi da ko per un Chievo che a fatica, con le unghie e con i denti, stava cercando di rimanere in partita contro i fortissimi avversari.

Un Aglietti pensieroso – Foto BPE (Maurilio Boldrini)

La squadra di Paolo Zanetti, fra le migliori del torneo, è consapevole della propria forza e con calma ha portato – dopo un inizio più positivo per gli uomini di Alfredo Aglietti – già sul finire del primo tempo i maggiori pericoli alla porta avversaria, con Forte in particolare che ha fallito due clamorose occasioni, oltre ad aver costretto Semper a una parata strepitosa su calcio di punizione. In mezzo a tutto questo il Chievo ha giocato su buoni ritmi, tentando (e spesso riuscendoci) di tenere in mano il pallino del gioco, allargando con il giro palla il gioco sugli esterni e sfruttando la buona vena di Di Gaudio, da una parte, e del ritrovato Mogos, dall’altra. In cabina di regia il sempre lucido Palmiero ha trovato buone geometrie di gioco per tutta la prima frazione.

Purtroppo, però, non è bastato per portarsi in vantaggio. Qualche incursione in area, qualche tiro dalla distanza, qualche palla che è danzata pericolosamente davanti alla porta dell’estremo difensore finladese del Venezia Maenpaa, ma niente. La palla non è voluta entrare. E quando sul finire del primo tempo Crnigoj ha siglato la rete del vantaggio lagunare a tutti è sembrato di rivedere un copione già messo in scena altre volte dal Chievo. Incapace di concretizzare sotto porta e colpevole di qualche sbavatura difensiva (quella, in particolare, che ha permesso al numero 20 arancio-nero-verde Di Mariano di scendere indisturbato sulla sinistra e mettere in mezzo il pallone che il compagno, dopo un primo controllo difettoso, è stato abile a scagliare in porta).

Una veduta dello Stadio Penzo di Venezia – Foto Ernesto Kieffer

Nel secondo tempo, poi, sono arrivati gli ulteriori errori difensivi già descritti che hanno dato il là alla vittoria veneziana. Peccato perché il bel gol di Canotto, arrivato un minuto dopo il raddoppio dei lagunari, aveva in parte illuso di riuscire in una nuova rimonta di prestigio, dopo quella di martedì scorso contro l’Empoli. E invece il Chievo torna a casa con le pive nel sacco a leccarsi le ferite e a meditare sulle proprie defaillance.

Mancando Ciciretti per infortunio e dovendo rinunciare all’ultimo a De Luca, che ha accusato un fastidio muscolare durante il riscaldamento, si è visto nell’undici di partenza un motivatissimo Di Gaudio, mentre – forse anche in vista del tour de force di quattro partite in dieci giorni – Obi si è dovuto accomodare in panchina lasciando il posto a Viviani. Purtroppo, non ce ne voglia il volenteroso ragazzo, la differenza c’è e si vede. Viviani è giovane e, come si suol dire in questi casi, “si farà”, ma è ovvio che nelle sfide al cospetto di avversari organizzati e quotati come il Venezia sia complicato rinunciare a un uomo di “lotta e di governo” come il nigeriano, che già quando è entrato nel finale di gara, quando ormai però si era sul 3-1, ha fatto sentire tutta la propria fisicità ed esperienza.

Emanuele Giaccherini – Foto BPE (Maurilio Boldrini)

Nel finale, a punteggio ormai compromesso, è entrato anche Giaccherini. L’eroe di tante battaglie, con alle spalle una carriera di grande prestigio fra Nazionale e tante squadre di alto livello, rimarrà sempre nei cuori dei gialloblù per aver trascinato da protagonista il Chievo alla salvezza in A nel 2019, ma oggi è ormai l’ombra del giocatore che fu e non riesce a incidere, come lui per primo di sicuro vorrebbe, sulle partite, anche quando entra a gara in corso.

Immaginiamo però il peso di Aglietti che con Canotto già in campo e Garritano ormai “spompato” per il tanto correre fin dal primo minuto, sotto di due reti, si giri verso la panchina e, non vedendo molto altro, tenti la carta della disperazione con il “Giak”. Purtroppo ieri non è andata bene, perché l’apporto alla squadra dato dal fantasista è stato nullo o quasi ed è davvero difficile immaginare un suo nuovo impiego a breve, soprattutto se i recuperi di De Luca e Ciciretti permetteranno ai due attaccanti di essere in campo già martedì 4 maggio alle 14 contro la Cremonese.

Si giocherà al Bentegodi e la sfida è di quelle da “dentro o fuori”. O victoria o muerte, avrebbero detto i rivoluzionari cubani di Che Guevara. Ecco, senza esagerare, però la sfida ai grigiorossi non ha per il Chievo appello. Non si può più sbagliare, perché da qui in avanti il Chievo non può far davvero altro che vincere. E vincere. E vincere. L’unica strada per arrivare ai play off è quella.

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