In un momento in cui il paese reale è legittimamente scosso da notizie devastanti, anche le cover passano in secondo piano. Pure io, nell’ansia di capire se le dimissioni di Zingaretti verranno accettate e se il PD sopravviverà a questo cataclisma, credo sia giusto portare un po’ di serietà a questo Festival. Perciò spendo due parole su alcune categorie che nei prossimi giorni saranno sulla bocca di tutti:

Giuria demoscopica – creatura mitologica e multiforme che secondo i testi antichi riunisce 300 eletti la cui identità è rimasta sconosciuta nei secoli, i “fruitori abituali di musica”. Difficile se non impossibile prevederne il comportamento, anche se recenti studi ritengono di aver trovato un messaggio comune che potrebbe fungere da chiave interpretativa: «amo’ tu puoi cantarmi anche la lista della spesa che andrebbe bene comunque».

Giornalisti – la nemesi del dèmos, l’avversità al quale ne è ragione ontologica d’esistenza. Il giornalista sente intimamente la necessità di affermare la propria identità di stipendiato in contrapposizione al popolino urlante dei social. Nei periodi di forma smagliante il giornalista più elevato è quindi in grado di spiegarci che no, un Festival così gestito non doveva neppure essere organizzato. E quindi ci piazza sopra 9 articoli, 6 pagelle e una media di 45 tweet al giorno.

Televoto – come l’esercito britannico-olandese-tedesco e quello prussiano si uniscono contro Napoleone a Waterloo, giornalisti e demoscopica fanno squadra con un’unica missione nella vita: arginare i danni causati dal televoto. Nelle occasioni in cui non ci sono riusciti, abbiamo assistito a reati che meriterebbero una Norimberga musicale. Tipo nel 1989, quando finisce sul podio Cara terra mia di Albano&Romina e al nono posto Almeno tu nell’universo di Mia Martini.

Orchestra – quelli che dovrebbero votare sempre. Fosse solo per aver strappato e lanciato in aria gli spartiti per ribellarsi a quella vergogna di Emanuele Filiberto e Pupo sul palco dell’Ariston. Anno Domini 2010, oggi c’è chi li chiamerebbe “professoroni”.

Ma veniamo alla serata. La felicità di essere a Sanremo, in un’immagine.

Fiumi di parole dopo 24 anni torna al Festival e lo fa assieme a Gli Anni ed ai Neri per Caso, la nostalgia degli anni ‘90 si fa pesante.

Fulminacci feat. Lundini & Roy Paci e Willie Peyote feat. Samuele Bersani si sono messi in tasca la serata e, per quello che mi riguarda, anche la candidatura alle primarie del PD.

«Io non sono la sclerosi multipla». Antonella Ferrari scolpita nella pietra, per ogni malattia.

Ammettiamolo, tutti nella vita siamo finiti almeno una volta a far karaoke da ubriachi con gli amici. Anche più di una, se si è fortunati. Comunque Ibra e Miha nemmeno le mogli li hanno mai visti così sorridenti e imbarazzati.

Achille Lauro: «Ho visto lo spirito del mondo, erano le 100 lire». Semicit.

Ore 00.42, mollo dopo Prisencolinensinainciusol. Chiedo scusa ai nove che mancano, recupero domani (oggi) su Youtube. Promesso.