«Daje Lò, ho appena finito di suonare. Come al solito in partenza per condurvi fino alla vittoria. Sempre con voi.» Gabriele, anni 26, invia questo SMS a Lorenzo. Sono più o meno le ore 4.30 di domenica 11 novembre 2007.

Teniamolo stretto questo messaggio. Perché è l’unica cosa certa, nera su bianco, di quel giorno. Il resto è tutto più offuscato. I ricordi e le risposte, soprattutto, che lo sapeva perfettamente Bob, davvero le porta via il vento.

Anche per il sottoscritto i ricordi di quella domenica sono un po’ annebbiati. La notizia, a pranzo, passata velocemente dai tg mentre sto seduto a tavola coi miei. È morto un ragazzo in autostrada ma non per un incidente. Un autogrill all’altezza di Arezzo, tifosi avversari e una rissa. Un colpo di pistola, ci scappa il morto. Forse quel giorno iniziavo a preparare un esame, oppure mi riprendevo dal sabato sera precedente.

Passano i minuti e le informazioni aumentano, si contorcono. Creano immagini strane. Frammenti, sussurri, ma la notizia già c’è, dai. E pure il contorno: la violenza del tifo e delle curve italiane. Too easy. Poi viene fuori che a sparare è stato un poliziotto. Vabbè ma sono comunque tifosi, teste calde, sarà stato obbligato a premere il grilletto, come potrebbe essere andata diversamente? 

È un periodo strano per il giornalismo quello. L’online continua la scalata sul cartaceo, il televisivo comincia a perdere qualche colpo e, anche se non ci sono ancora i social a ribaltare i ruoli tra giornalisti e pubblico, la news non si può bucare. Le riprese dell’auto col finestrino rotto. Quasi sembra impossibile che su quel sedile sia morto un ragazzo con un proiettile nel collo.

La lapide in ricordo di Gabriele
nell’area di servizio Badia al Pino Est

Dall’autostrada le telecamere si spostano agli stadi, e poi nelle città. Le narrazioni si dividono. Da una parte quella dei tg, le voci che corrono dall’altra. Ma ormai è già troppo tardi. La frattura è definitiva e insanabile. Partite rinviate, tifosi violenti (stavolta sul serio) e caserme prese d’assalto. It’s getting dark, too dark to see.

Qui non c’è la retorica dei buoni contro i cattivi, cowboy e indiani. Anche perché l’abbiamo capito qualche anno prima che un distintivo non ti mette di diritto dalla parte dei primi. Qui si parla di come dare le notizie. O come non darle. Diffamando la vittima, per esempio. “Laziale, con precedenti per reati da stadio”. Gabriele ucciso due volte. Uno stile che ci portiamo dietro ancora oggi, quando uno ammazza moglie e figli e mandiamo in onda l’intervista al capo reparto che lo dipinge come una bravissima persona, e che magari era lei ad averlo tradito.

A sparare sono stati gli juventini, poi un colpo partito per errore, infine un proiettile sparato in aria che è stato in qualche maniera deviato da una rete e finito ad altezza uomo. Tutte ipotesi spalmate agilmente in prima serata dai nostri tg. La BBC invece titola “Italian police kill football fan”. Contate le parole, quante ne servono per raccontare il vero. Cinque.

Numeri, forse è solo con questi che si può sfuggire agli annebbiamenti della memoria. E qui di numeri ce ne sono davvero tanti. 2, come le braccia parallele al terreno dell’agente che impugna l’arma, 9 il calibro della pistola, 66 i metri di distanza dall’auto quando il proiettile inizia il suo viaggio.

Tredici, come gli anni passati. È normale che la memoria faccia qualche scherzo. Per quello dicevo di tenerci stretto il messaggio di inizio articolo. A riceverlo è Lorenzo, che di cognome fa De Silvestri ed è il terzino destro della Lazio. A inviarlo è Gabriele Sandri, ragazzo, dj, cittadino e, solo successivamente, tifoso.

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