Determinata e indipendente, Sofia Righetti è una miscela esplosiva: filosofa, campionessa paralimpica, attivista per i diritti civili e del mondo animale, femminista convinta, modella, musicista metal. Classe 1988, nata a Verona nel segno della risoluta e indipendente Vergine con un pericolosissimo Marte in Ariete, “una combo esplosiva” come ci spiega. Ha studiato a Bologna dove, tra un festival metal e l’altro, si è laureata a pieni voti in Scienze Filosofiche con specializzazione nei Disability Studies e, nel mezzo, ha vinto il titolo nazionale di campionessa di sci alpino paralimpico. Come lei stessa afferma “non facile da gestire” proviamo a “gestirla” con qualche domanda affine alla sua tempra d’acciaio.

Sofia, sei da sempre in prima linea per i diritti di tutti. Ci racconti l’avvenimento da cui il tuo impegno in prima linea è iniziato?

«È iniziato tutto alle elementari, quando vidi i primi video su internet dove filmavano l’uccisione delle mucche e dei maiali all’interno dei macelli. Da lì decisi che non avrei più voluto essere complice di questo sterminio mangiando carne e pesce, e che mi sarei battuta sempre per la vita e i diritti di chi non ha avuto il privilegio di nascere umano in un mondo antropocentrico, contrastando e facendo informazione su qualunque ambito in cui gli animali vengono tutt’ora seviziati e torturati (sperimentazione animale, industria latte-ovo-casearia, corrida, caccia, pesca, allevamenti e macelli). Poi alle superiori è arrivata la consapevolezza sulle discriminazioni subite dalle persone Lgbtqia+, dalle donne, ed essendo io stessa una donna con disabilità, non potevo certo stare zitta sulle discriminazioni e l’abilismo che siamo costretti a subire.»

Potresti spiegare che cos’è l’abilismo e perchè è così importante riconoscerlo e combatterlo?

«L’abilismo è qualsiasi forma di discriminazione, pregiudizio o preconcetto rivolto verso le persone a causa della loro disabilità. Presuppone il concepire la realtà da un punto di vista normo-abile, trattando in modo differente le persone con disabilità, come se non avessero una disabilità. Comprende anche il ritenere che tutte le persone abbiano un corpo normo-abile, negando o silenziando le persone con disabilità. È importante riconoscerlo e combatterlo per gli stessi motivi per cui è importante riconoscere e combattere il sessismo, l’omobitransfobia, il razzismo, lo specismo, il fat shaming.»

Oltre a essere attivista e campionessa paralimpica sei modella, parliamo di Body positive…

«La body positive non ha niente a che fare con l’essere modella, anzi. È il movimento che nasce con la fat acceptance e che afferma che ogni corpo è valido. C’è stata un’appropriazione da parte delle case di cosmesi di questo concetto per far vendere i loro prodotti, accompagnate dallo slogan “ama te stessa”, ma pure questo è falso. Arrivare ad amare se stessi è un percorso la cui responsabilità non deve ricadere sul singolo,  perché tu puoi pure arrivare ad amare te stessa, ma se tutti ti dicono che fai schifo e che il tuo corpo fa schifo, abbiamo un problema sistemico alla radice di non validazione e accettazione dei corpi non conformi (ossia i corpi grassi, i corpi disabili, i corpi trans o intersex,  i corpi che hanno la pelle nera, tutti i corpi non conformi al sistema normativo in cui siamo immerse).»

Sei orgogliosamente femminista. Cosa vuol dire essere femministe oggi?

«Ritenere che ogni individuo debba avere le stesse possibilità sociali, politiche ed economiche qualsiasi sia il genere, l’orientamento sessuale, l’abilità, l’etnia o la specie, in una situazione di parità e di non discriminazione.» 

Come ti spieghi il fatto che il femminismo non includa le istanze delle donne disabili?

«Questo è un ambito di studio accademico chiamato Feminist Disability Studies. I motivi sono molteplici e non riassumibili in una domanda, ma essenzialmente uno dei tanti è riferito al corpo: il corpo delle donne con disabilità è stato desessualizzato e infantilizzato dalla società normativa, per questo le donne disabili stanno lottando per il loro riconoscimento della loro validità sessuale come individui autonomi e del loro valore a essere madri. Le femministe senza disabilità, fino ad adesso, si sono rifatte a un femminismo abilista poiché non tiene in conto queste istanze, ribadendo la loro lotta contro l’ipersessualizzazione del corpo e il fatto di aver valore solo in quanto madri, per questo le questioni delle donne con disabilità sono viste come una minaccia. Tuttavia le donne disabili sono donne, e un femminismo che non le comprende non può chiamarsi femminismo.» 

Ma… i disabili fanno sesso?

«No, ma scherzi, non sanno nemmeno cosa sia il sesso. Copertina rosa di Clara di Heidi, minestrina e via.»

Tornando serie… Cosa comporta – come nel caso della tua indubbia avvenenza – avere un corpo sessualmente attraente e avere una disabilità?

«La bellezza è un privilegio che non si sceglie, così come avere una disabilità è una caratteristica che non si sceglie. È importante far capire alla società che la disabilità non limita la bellezza o l’avvenenza, ma d’altra parte non si può fare di questo privilegio il centro focale del proprio attivismo e del proprio agire, altrimenti si arriva a causare una doppia discriminazione tra persone disabili belle e persone disabili brutte. Rivendichiamo la validità sessuale di tutti i corpi,  non solo di quelli che sono più accettabili dalla società abilista.»

Cos’è il “cat calling”? Perchè molte donne con disabilità, pur di sentirsi sessualmente desiderate, sono disposte ad accettarlo?  

«Vi rimando a un’articolo preziosissimo che scrissi poco tempo fa, e che spiega ampiamente il concetto, eccolo qui

Arrivate alla conclusione: un tuo messaggio forte e chiaro per chi fosse rimasto ancora all’età della pietra? 

«Ascoltate, studiate e aggiornatevi. Siamo nel 2020, mannaggia a voi.»