Perché rovinare una bella storia con la verità? Quello che potrebbe essere il mantra di copywriter e storyteller vari, negli ultimi tempi è sempre più pane quotidiano anche per il giornalismo e la comunicazione più “tradizionale”, passatemi il termine.

Finché a farsi prendere dall’aggettivazione ipertrofica sono gli invasati da bar sport, impegnati a recitare il Magnificat per l’ennesimo record di Cristiano Ronaldo, la cosa potrebbe anche risultare tollerabile (fino a un certo punto). Quando però cominci a vedere editorialisti di una certa fama, cronisti e partiti politici utilizzare espressioni come “disintegra il ministro xxx” o “asfalta l’avversario”…la questione diventa francamente imbarazzante. Roba da tempi moderni, verrebbe da dire. Derive da social e ultra-esposizione mediatica. Mica tanto, visto che lo facciamo praticamente da sempre. 66 anni fa, ad esempio, l’abbiamo dimostrato al mondo intero.

Il Karakorum 2

Alle ore 18 del 31 luglio 1954 l’Italia è vittoriosa. Il K2 è conquistato, l’impresa compiuta. Come possiamo sporcare questo trionfo che tutto il mondo ci ammira? Mettetevi comodi, perché c’è voluto mezzo secolo per venirne fuori.

Nell’estate del 1954 il boom economico è ancora di là da venire, le ferite di chi esce sconfitto da una guerra mondiale si fanno sentire, la Rai trasmette solo da qualche mese e Trieste non è ancora tornata tutta italiana. L’orgoglio nazionale non si lucida più sui campi di battaglia, la sfida si è spostata sulle vette dell’Himalaya.

Nel 1950 tocca alla Francia, con Herzog e Lachenal che conquistano la vetta del primo ottomila, l’Annapurna. Tre anni dopo Hillary e Tenzing Norgay violano l’Everest, il tetto del mondo. Il 1954 è l’anno di un’Italia uscita stremata dal conflitto bellico e vogliosa di cancellare agli occhi del mondo la vergognosa etichetta del fascismo. Uno Stato e un popolo in cerca di un’impresa per rifarsi il trucco.

La sfida si chiama K2, 8.609 metri, la seconda montagna più alta del mondo; per Reinhold Messner e altri alpinisti professionisti è l’ottomila più impegnativo. Sul ChogoRi, grande montagna, uno ogni quattro ci muore. Per compiere l’impresa si muove il governo democristiano, “si deve servire la Patria”, vengono selezionati i migliori alpinisti del periodo. A guidare la spedizione il professor Ardito Desio. Achille Compagnoni, Lino Lacedelli e il giovane Walter Bonatti sono i nomi di spicco tra gli scalatori scelti. Oggi li chiameremmo top player.

La spedizione italiana sul K2

Gli indizi che avremmo trovato il modo di rimestare nel fango anche questa volta, in realtà, già c’erano nella fase di organizzazione e selezione. Quando, per una questione di visibilità personale del professor Desio, viene fatto fuori dalla missione Riccardo Cassin, monumento dell’alpinismo italiano che l’anno precedente aveva compiuto le ricognizioni con lo stesso Desio. Dei test medici, poi risultati artefatti, lo costringono a restare a casa.

Sul Karakorum la salita inizia a fine maggio. Dopo poche settimane perde la vita per un edema polmonare Mario Puchoz, ma alla fine il tricolore sventola sulla vetta del K2, sono Compagnoni e Lacedelli a conquistarla. La versione ufficiale raccontata da Ardito Desio nel film dedicato all’impresa, Italia K2, parla  di un’ascesa eroica, con i due scalatori che esauriscono l’ossigeno delle bombole ma trovano comunque le forze per vincere il gigante di ghiaccio e roccia. I toni sono quelli tipici dei cinegiornali Luce: “Lino e Achille attendono l’alba stretti come due fratelli in guerra” o “in un attimo han deciso, se debbono morire, sarà lassù”. Il Paese è galvanizzato, la vergogna arriverà dopo. Nel mezzo, una storia diversa, accuse, processi e una notte durata più di cinquant’anni.

Una notte durante la quale Walter Bonatti e l’hunza Mahdi sono costretti a bivaccare all’aperto, sul ciglio della montagna, a 25 gradi sotto lo zero, quando ogni respiro sembra durare secoli. Il giorno precedente sono scesi al campo VIII per recuperare le bombole d’ossigeno necessarie per arrivare in vetta. Arrivati al punto d’incontro convenuto, Compagnoni e Lacedelli non si vedono, sono andati più avanti. I due allora salgono ancora, al tramonto sono quasi disperati, si mettono a urlare. Bonatti racconta di aver avuto risposta, una voce: «Lasciate tutto lì e andate via.» Si, ma dove? Non sono in condizioni di salire o scendere, chiedono aiuto, stavolta nessuna risposta. «C’è voluto molto tempo per scavare quella specie di terrazza sulla montagna ghiacciata; ci siamo seduti molto vicini l’uno all’altro. Mahdi era troppo stanco per togliersi i ramponi, perciò glieli ho tolti io. Altrimenti il suo congelamento sarebbe stato molto peggiore. Ho passato quella notte a guardarmi le dita, per vedere se erano tutte e cinque ancora lì; ho elaborato dei problemi matematici per vedere se ero ancora in grado di pensare».

La Domenica del Corriere celebra l’impresa

La mattina del 31 luglio arriva, Bonatti e Mahdi riescono a tornare indietro al campo VIII. Compagnoni e Lacedelli completano l’impresa. Cinque mesi dopo, al rientro in Italia, polemiche, ammissioni, bugie. Nel suo libro, La conquista del K2, Desio afferma che la coppia di testa della cordata non aveva idea che Bonatti e Mahdi fossero rimasti una notte intera a bivaccare all’aperto, anzi, la sera prima non li avevano nemmeno sentiti. Al mattino, trovate le bombole, Compagnoni e Lacedelli hanno proseguito l’ascesa, che diventa eroica, quasi sovrumana, nel tardo pomeriggio, quando all’improvviso le bombole esauriscono la loro dotazione. Non solo il K2 è stato domato, ma gli italiani l’hanno fatto senza ossigeno. I protagonisti la raccontano così: «Non riuscivamo a respirare, le gambe erano deboli, non ci tenevamo in piedi. Abbiamo tirato fuori le maschere e respirato forte, cercando di raccogliere le forze. E in effetti quella terribile sensazione a poco a poco è scomparsa: ci siamo meravigliati di come fossimo di nuovo in forma, anche una volta tolte le maschere». I due arrivano in vetta, lacrime di felicità, la voglia di non scendere più.

Bonatti pubblica Le mie montagne, dove racconta la sua versione della scalata. Divampano le polemiche. Chi è l’eroe e chi il bugiardo? Dieci anni dopo la conquista della vetta alcuni articoli del giornalista Nino Giglio accusano Bonatti di aver tentato di “rubare” la vetta a Compagnoni e Lacedelli, di aver provato a corrompere Mahdi e di aver utilizzato lui stesso una parte dell’ossigeno delle bombole, poi venuto a mancare. Si va a processo. La versione dell’impresa terminata senza ossigeno viene smontata e sono le stesse foto scattate sulla vetta da Compagnoni e Lacedelli, dove compaiono con mascherine ancora collegate alle bombole, a farlo. Se le bombole erano vuote, perché portarsele sulle spalle fin lassù? Sotto giuramento Giglio ammetterà che la fonte dei suoi articoli contro Bonatti era lo stesso Compagnoni. Lacedelli, che per quarant’anni non aveva mai scritto nulla sulla scalata, all’inizio del nuovo millennio ammette che la versione di Desio era tratta interamente dal diario di Compagnoni, lui il suo non glielo aveva mai dato. E una frase: «L’aiuto di Bonatti è stato fondamentale».

Walter Bonatti

Nel 2008, 54 anni dopo, il CAI mette la parole fine: il racconto di Desio non è più da considerarsi la versione ufficiale della conquista del K2, va revisionata, viene data ragione a Bonatti. «Ho aspettato per due mesi che Compagnoni venisse a darmi una pacca sulla schiena, a dirmi che aveva fatto una fesseria, a chiedere scusa, perché può capitare di essere vigliacchi, ma deve anche capitare di ammetterlo. Invece niente, invece sono finito sul banco degli accusati, ero io la carogna. E tutto questo perché? Perché l’impresa oltre ad avere successo doveva essere eroica, straordinaria, mitica. L’Italia non riesce mai ad essere un Paese pulito, deve strumentalizzare la verità, sporcare gli uomini. Io sul K2 in una notte del’54 sono quasi morto, ma quello che mi ha ucciso è stato mezzo secolo di menzogna».

Per sopravvivere alle imprese, come a certe notti, dipende da quale lato ti tocca viverle. A più di ottomila metri e col termometro che segna meno 25, poi, la notte ce l’hai più dentro che fuori. Walter Bonatti l’ha capito bene. E sapeva che ci sono storie che non hanno bisogno di essere infiocchettate. Basta raccontarle.

In copertina: una delle immagini pubblicitarie di “Italia K2”, il film ufficiale della spedizione, 1955.