Raffaella Faccioli, veronese trapiantata a Parigi per amore, si è reinventata e si è messa in gioco più volte. Con la sua storia Heraldo inizia una collaborazione con l’associazione Veronesi nel Mondo, che raggruppa i nativi veronesi che vivono in giro per il pianeta. Raffaella ci racconta di sé e dei suoi mille progetti che portano sempre un po’ di Verona nel cuore.

Raffaella se ti chiedo chi sei, cosa ci racconti?
«Sono nata a Verona e cresciuta a Villafranca di Verona. Ho avuto un’infanzia felice, nella mia vita ho sempre conciliato studio e lavoro. Dopo la maturità in perito aziendale e corrispondente in lingue estere conseguita all’Istituto Einaudi di Verona, mi sono iscritta a Giurisprudenza a Padova e nello stesso tempo, dal 1992 al 1996, insieme a mia sorella Stefania, abbiamo rilevato l’attività dei miei nonni trasformandola in un negozio di prodotti biologici. Loro erano fruttivendoli, tra i primi commercianti di Villafranca, delle figure davvero carismatiche e molto conosciute in paese. Ci avevamo visto lungo, peccato che all’epoca il biologico era ancora un mercato di nicchia e che l’inesperienza nella gestione del negozio ci abbia portate a chiudere.

Raffaella Faccioli (Foto: Carole Bellaïche)

Mi ci sono voluti molti anni, dopo questa esperienza, prima di rimettermi in proprio. Nonostante l’insuccesso, conservo degli splendidi ricordi e dei grandi insegnamenti.
Dopo questa esperienza ho aperto una grande parentesi studio e sono partita a Londra per studiare l’inglese. Lavoravo come chambermaid in un hotel di lusso. Sono rimasta quasi un anno e al mio ritorno ho avuto diverse esperienze lavorative. Ho ripreso giurisprudenza, che nel frattempo aveva aperto a Verona. All’epoca lavoravo di giorno in un bar e il pomeriggio e la sera stavo sui libri.

Ho capito che non avrei continuato gli studi in questa facoltà dopo aver lavorato in uno studio di avvocati e commercialisti a Verona. Così ho deciso di iscrivermi a Lettere e Filosofia con indirizzo in tecniche artistiche e dello spettacolo all’università Cà Foscari di Venezia, dove mi sono laureata con una tesi sull’uso della lingua dei segni nel teatro dal titolo “Un silenzio molto rumoroso”, argomento d’attualità in questo periodo di clausura.
Sono figlia di genitori sordi. Come dico nell’introduzione della mia tesi, la fine del mio percorso scolastico coincide con l’inizio di una ricerca introspettiva, storica e culturale che interessa la lingua dei segni e il suo utilizzo in ambito teatrale.
Avevo bisogno di scoprire le origini del mondo sordo e di farlo mio.
Ho diversi hobby, adoro il fai da te, costruire, cucinare, viaggiare. Sono molto curiosa,  amo incontrare le persone, mi piacciono le sfide, sono golosa e adoro mangiare. Adoro la danza orientale, che ho anche praticato per potermi pagare gli studi universitari.»

Cosa volevi fare da grande?
«Volevo fare l’avvocato. Per fortuna non l’ho fatto!»

Da Verona a Parigi. Perché, per quali motivi?
«Per amore! A Venezia ho incontrato il mio compagno attuale, Tigrane, un architetto parigino che stava lavorando in uno studio di architettura a Venezia. Sapevo che sarebbe tornato a Parigi e non volendo una relazione a distanza ho deciso di mollare tutto, famiglia, amici, lavoro, abitudini e trasferirmi per seguirlo.
Per me è stato un enorme salto nel vuoto. Ci conoscevamo da poco, non sapevo una parola di francese e non avevo un lavoro.
Mi ricordo di aver comperato, un mese prima di trasferirmi, un libro per imparare il francese e appena arrivata, con due parole in tasca mi sono trovata un lavoro in un bar sugli Champs Elysées.
Non avrei mai pensato di vivere a Parigi un giorno. A scuola avevo scelto il tedesco perché il francese l’ho sempre considerato una lingua troppo dolce per me. Mai dire mai.»

Cosa ti ha colpito di Parigi, appena arrivata e cosa ora ami di più?

Un lavoro di Raffaella (Foto: Juan Bracco)

«Dalla bellezza e dall’immensità.
Quello che amo di questa città è l’attività culturale che offre, il melting pot, il treno Eurostar che mi porta a Londra in 2 ore, le differenze e i contrasti.
Mi piace l’idea di cambiare quartiere per avere l’impressione di essere da un’altra parte del mondo. Uno dei quartieri che adoro è quello indiano vicino alla Gare du Nord. Un’esplosione di colori e profumi incredibili.
Amo anche il carattere combattivo e rivoluzionario dei francesi. Qui ci si batte veramente per ottenere le cose. Mi piace il rispetto per i diritti acquisiti. Parigi non è una città facile, è una città dà molto ma prende tanto.»

Parigi ti ha portato anche una professionalità nuova, raccontaci dei tuoi ultimi progetti? Cosa fai, di cosa ti occupi.
«Parigi mi ha dato tantissimo. Ho costruito una famiglia, un nuova professione, mi ha salvato la vita e mi ha permesso di sviluppare la mia creatività.
A quarant’anni, dopo un tumore al cervello, benigno per fortuna, ho deciso di ritornare a scuola e di diventare interior designer. Con un sistema di finanziamento della regione Ile de France, la regione parigina, ed altri aiuti dello Stato francese ho potuto frequentare una delle migliori scuole di design di Parigi, L’Ecole Boulle, senza dover pagare un euro. Anzi, per l’intera durata della mia formazione, non solo ho mantenuto il mio lavoro ma ho continuato a percepire lo stipendio del lavoro che avevo messo tra parentesi per il tempo della formazione.
Lasciato il lavoro presso uno studio di architettura dove lavoravo come assistente di direzione e comunicazione, ho creato la mia società che si chiama “Basta Bianco”.

Un lavoro di Raffaella
(foto di Joan Bracco)

Sono interior designer e mi interesso in modo quasi ossessivo al colore. Colore che manca nell’architettura degli edifici parigini completamente bianca. E poi anche gli architetti non sanno mai come usarlo. Lavoro in collaborazione con il mio compagno architetto. Ci occupiamo di ristrutturare appartamenti e case.  Recentemente siamo stati selezionati per progettare un negozio di prodotti biologici di una grande catena francese. Abbiamo progetti in Francia, Inghilterra e Stati Uniti. In questo periodo sarei dovuta partire a New York per un cantiere che abbiamo a Manhattan.»

E le candele?
«Le candele sono il frutto di una delle mie tante idee. Sono la creatrice della linea profumata “Romeo e Giulietta”, che è un marchio registrato.
Quando ho creato la mia società “Basta Bianco” volevo fare qualcosa di originale che mi ricollegasse a Verona, e che avesse un legame con Parigi.
Del resto la mia storia è legata all’amore, vengo da Verona, città dell’amore, incontro Tigrane (il mio compagno) a Venezia, altra città dell’amore e mi trasferisco a Parigi che per antonomasia è la capitale dell’amore.

Le candele di Raffaella (Foto: Sarah Bouchet)

Ho pensato alle candele per una serie di motivi.  In francese candela si dice bougie e la parola bugia si ricollega alle bugie nascoste nella storia di Romeo e Giulietta. Poi la candela è anche è un simbolo dell’amore. Le espressioni come “amore ardente”, “fiamma della passione”, “desiderio ardente” sono esempi di come la candela sia strettamente correlata alla sfera dell’intimità. La usiamo per creare un’atmosfera seducente, propizia all’amore.
Allora mi son detta che potevo raccontare in modo nuovo e originale la storia di Romeo e Giulietta. Vista la mia passione per il colore e per i profumi ho pensato di raccontare la storia dei due amanti attraverso questi due elementi. Il profumo per rendere omaggio all’arte profumiera parigina. Per questo ho lavorato in collaborazione con una profumiera francese, Clemence Besse, che ha interpretato le parole di Shakespeare in note olfattive.
I colori, anch’essi importanti perché risvegliano le emozioni come il profumo, racconta la storia dei due amanti attraverso la simbologia del colore.
Ho iniziato con il colore rosso, il colore dell’amore, della passione, del sangue. Poi si sono aggiunti il bianco, per raccontare il matrimonio dei due amanti, e il nero per la fine tragica della storia.
Le candele sono prodotte con i migliori ingredienti e sono fatte in cera vegetale, prodotte in Francia.
La storia di Romeo e Giulietta è di grande attualità. Rileggere l’opera di Shakespeare è stata una cosa bellissima. Io consiglio la lettura a tutti, specialmente ai veronesi, perché l’opera di Shakespeare non può essere sintetizzata in un semplice balcone per un turismo mordi e fuggi. L’opera è forte, parla di odio, di non accettazione del diverso, di passione, di morte, di lealtà, di perdono.»

Consigli a chi vuole lasciare la città di nascita e provare esperienze fuori dalle mura?
«Il miglior consiglio che possa dare è di vivere un’esperienza all’estero. Personalmente credo sia il modo migliore per conoscersi e per riscoprire il proprio Paese, oltre al fatto di confrontarsi con altre realtà.»

Il virus ora sta cambiando le nostre vite, come state a Parigi?
«Il fatto che tutto si sia sviluppato in Italia, prima che in Francia, mi ha permesso di prepararmi psicologicamente al fatto di stare in casa.
Posso dire di aver seguito il “modello italiano” da subito, lasciando a casa da scuola i miei figli prima ancora che il governo francese decidesse per il lockdown e imponendo a tutti in casa spostamenti limitatissimi.
I primi giorni sono stati un po’ duri, ed ero soprattutto nervosa a causa dell’inerzia del sistema francese, troppo occupato a dare importanza alle elezioni municipali a Parigi e nel resto della Francia, invece di comunicare sul Coronavirus.
Ora sono 3 settimane che siamo chiusi in casa, esco di rado, cerco di delegare la spesa, cosa che odio fare anche in tempi normali, e mi occupo di finire tutte le cose che avevo lasciato in sospeso. Tutto sommato, sono contenta che il mondo si sia fermato.
Quello che non riesco a fare è leggere e pensare. Ho la creatività ai minimi storici. L’unica cosa che riesco a fare sono lavori manuali che mi occupano fisicamente e che mi permettono di far passare il tempo e avere quella sensazione di stanchezza a fine giornata. Non penso al futuro, vivo giorno per giorno, sono molto fatalista e ripeto il mantra che mia nonna era solita dire “se le cose succedono ci sarà un perché”.»

Come vedi la tua Italia da là ora?
«Con occhi nostalgici, un po’ per la situazione politica, un po’ per la lontananza. Comunque una cosa è certa. Io voglio assolutamente lavorare con l’Italia, specialmente con Verona e tutte le realtà artigianali veronesi perché sono molto legata al mio territorio e penso che meriti di essere promosso nel mondo.
Grazie alle candele “Romeo e Giulietta” sono entrata a far parte dell’Associazione Veronesi nel Mondo. Riattiveremo la sede parigina dopo tutto questo caos e io ne sarò la presidente.
La sede c’è e vorrei organizzare una serie di incontri per promuovere il nostro territorio in terra francese. Questo luogo vorrei trasformarlo in showroom per mettere in luce il savoir faire veronese. Ho preso contatto artigiani veronesi che sono pronti a collaborare.
La collaborazione con i Veronesi nel Mondo ha fatto si che altri soci sparsi nel mondo mi stiano aiutando per la mia attività. Per esempio Igor Veronesi in Brasile sta creando il nuovo sito www.romeoegiulietta.love per le candele “Romeo e Giulietta” che saranno in vendita online.
Anche con Alessandro Bassi a Verona stiamo pensando a forme di collaborazione per promuovere la realtà veronese in Francia.»

Torneresti in Italia a vivere, ovviamente dopo questo brutto periodo o comunque tra qualche anno semmai?
«Assolutamente sì. I miei figli continuano a dirmi che vogliono andare a vivere in Italia; dovrò ascoltarli prima o poi.
Il mio lavoro, che per fortuna mi permette una certa mobilità, mi consentirebbe di lavorare tra la Francia e l’Italia, mi piacerebbe fare dei progetti in Italia, a Verona»

Di Verona, infine, cosa ti manca?
«La famiglia, gli amici, una vita meno frenetica, la pearà, la natura, le passeggiate in montagna, al lago, la bellezza della città, dei suoi monumenti, dei suoi colori.
Mi manca tantissimo il collegamento con l’aeroporto di Villafranca. Io non ho mai capito perché abbiano tolto i voli tra Villafranca e Parigi.»

E cosa non ti manca assolutamente?
«La chiusura mentale, il razzismo, i ragionamenti spicci, il lamento continuo. Le cose non cambiano se non si fa niente e ci si lamenta e basta.»