Durante l’anno, i passaggi più o meno simbolici sono in genere due, come segnalato anche dal lessico: anno solare, anno scolastico.

Il primo è a dicembre/gennaio, quando ci ripromettiamo tutti più o meno convintamente di cambiare vita/abitudini/look/famiglia – ah no scusate, quella non si può – con una serie di buoni propositi fatalmente quasi tutti disattesi. A dire il vero, i più onesti tra noi ormai non li fanno neanche più, i buoni propositi annuali. Questo soprattutto perché la suocera, il figlio bestia di Satana – tipo quello che ti beve l’ultima coca sgasata in frigo il venerdì pomeriggio, scusate ma questa è vita vissuta, anche se non dalla scrivente – o la morosa lamentosa te li tieni, in genere, perché non li puoi/vuoi* dare via. Peraltro, pur se molto saggio, il fatto di non far più buoni propositi è anche uno dei tratti che ti qualifica inesorabilmente come diversamente giovane, e quindi meglio dirlo poco in giro. 

Il secondo è a settembre/ottobre. Un po’ come se percepissimo il rientro dopo le vacanze come un punto di svolta e di cambiamento potenziale. Bisogna dire anche che il contesto aiuta: partono le iscrizioni in palestra per i.le più temerari.e, gli abbonamenti ai cinema/teatri/stagioni di concerti/partite/attività sportive-per-gli-incoscienti-che-le-fanno-magari-in-pausa-pranzo-diosanto, c’è da pagare il bollo e l’assicurazione, c’è da pensare al Natale incombente che sono già cominciate le pubblicità – °*,àç*@# – e pure alla pace nel mondo. Ché tra un po’ fa freschino e il problema si fa (più) serio. 

Non si capisce bene perché, ma questo secondo momento di passaggio è percepito in modo più ufficioso ma quasi più seriamente del primo. Cioè. Nessuno parla dei “buoni propositi per l’ottobre come anno nuovo”, ma tutti ne fanno. Sarà perché i corsi e gli abbonamenti di cui sopra partono ora – ragione pragmatico-razionale. Sarà che vogliamo esorcizzare l’inverno incombente riempiendoci di attività fichissime per dimenticare il fatto che solo due mesi prima alle 17 di martedì stavamo in spiaggia col drink mentre adesso siamo in ufficio o dal tabacchino a pagare il bollo – ragione psicologico-nostalgica. Sarà che alla fine siamo come le piante e che in decrescita progressiva di luce e calore, non potendo calare le foglie, dobbiamo aumentare le fonti di energia alternative (al chiuso) pena il calo di positività e benessere, ammesso che ce l’avessimo mai avuto – ragione biologico-demenziale. 

Insomma, saranno tante cose, ma in ottobre si riscontra un fervore positivo, propositivo, una tendenza generalizzata a moltiplicare i programmi e le idee. Gente che non si muove dal paleolitico si fa prendere dal sacro fuoco e fa un abbonamento annuale in palestra. Gente che è via tutta la settimana per lavoro conferma lo yoga il venerdì sera, e magari ci va pure senza nemmeno passare da casa. Gente che detesta il jazz fa l’abbonamento a tutta la stagione, per compiacere la morosa (cfr. nota sulle morose lamentose) salvo poi trovarsi degli impegni proprio quei giorni lì, con gioia delle amiche della morosa lamentosa che saranno regolarmente invitate al concerto. Insomma, è tutto un fervore.

Questo a livello individuale. A livello collettivo, è un altro paio di maniche, se parliamo di idee. Questo perché il suddetto fervore si esplicita nelle discussioni sui tortellini al pollo come segno culturale inclusivo o degenerativo, sui crocefissi da mettere o meno sui muri delle scuole – che questo sia un problemone lo capisci di più, visto che un muro scolastico senza crepe è a volte difficile da trovare, con un conseguente effetto estetico tipo bene ma non benissimo. Ma a noi italiani piace così. E comunque la perfezione non esiste, come sa perfettamente una (tu) che si ripromette invano di fumare di meno a tutti i passaggi temporali canonici e non – dicembre/gennaio, settembre/ottobre, il momento dell’estratto conto mensile, l’incontro con l’amico ex fumatore, la festa della renga, l’anniversario della morte dei pesci rossi che avevi da piccola, [aggiungere momento catartico a piacere].

Però ora devi chiudere il pezzo perché hai da scegliere a cosa iscriverti per poi non andarci, perché il giochino del buon proposito riguarda una roba che non fai già, che dovresti fare e che poi non farai. Il tutto assolutamente in linea con uno spirito del necessario cambiamento mal compreso, ma assolutamente in fashion e quasi tenero nella sua scarsa realizzabilità, tipo lo spinning in acqua in pausa pranzo, roba da guerriere temerarie che Rambo scansate che ti calza a pennello.

*Qui in teoria non sei obbligato, perché potresti mollarla. Ma un’amica ha una teoria sul motivo per cui molti uomini si tengono delle donne super lamentose, teoria un filo generalizzante ma non scevra di un suo fondo di verità. E cioè: essendo vari uomini esseri che ragionano secondo uno schema binario – causa/effetto, problema/soluzione, birra fuori dal frigo/vai al bar dove c’è la birra fresca ecc –, gli stessi preferiscono un problema visibile che possono delegittimare e/o ignorare – si lamenta sempre, quindi non è un problema vero – a un altro potenziale ma a tratti più reale – quando una non lamentosa ti pianta un chiodo, ti conviene davvero essere nel giusto o avere un’ottima via di fuga, quindi è più impegnativo.

Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, CommediaInferno, Canto I