«I veri campioni siamo noi». «Moralmente abbiamo vinto noi ». Oppure si parla di débâcle, fiasco, vergogna. Nel nostro paese, in genere, la cultura sportiva tratta le sconfitte delle proprie compagini come tragedie morali o, in alternativa, le metabolizza in chiave vittimistica tra congiure e ingiustizie. Al rientro a casa della nazionale femminile di calcio, le parole rivolte da Sergio Mattarella a Milena Bertolini e alle atlete («In Italia il Mondiale lo avete vinto voi») per la verità si distaccano nettamente dai cliché di cui sopra.

Una prova di qualità

In attesa di scoprire la nazionalità delle prossime campionesse del mondo (la finale tra UsaPaesi Bassi sarà domenica alle 17 a Lione) in molti dobbiamo fare una parziale ammenda. Ci siamo accostati ai Mondiali francesi forse con un velo di snobismo per poi renderci conto che il calcio, con buona pace del mitico detto coniato da Guido Ara, in realtà è uno sport anche per signorine.

Al di là del coinvolgimento emotivo che solo le competizioni in cui scendono in campo le squadre nazionali sanno alimentare, gara dopo gara pure i maschietti più selettivi se ne sono resi conto. Se è vero che la percezione talvolta è generata dalle aspettative (non averne molte moltiplica l’effetto positivo) in realtà la qualità espressa dalla nazionale italiana sul piano, tattico, tecnico, caratteriale e via discorrendo, ha semmai riposizionato l’intero calcio femminile nella visione di tanti calciofili. E il Presidente della Repubblica lo ha correttamente rilevato.

Davvero brava la Ct azzurra e complimenti alle sue giocatrici che in poche settimane hanno permesso all’intero movimento non solo di accreditarsi ma di compiere un incredibile virtuale balzo in avanti nel loro paese. Oltre alle prove delle azzurre, la bellissima ed entusiasmante semifinale UsaInghilterra è stata, se vogliamo, il perfetto manifesto della competizione.

Milena Bertolini

Il rischio rugby-bis

La sensazione, se non il timore, è che la bella avventura in Francia corra il rischio di produrre un effetto rugby-bis al calcio-donne. Il mondo della palla ovale, analogamente venne individuato dal punto di vista del marketing come portatore di valori (veri o virtuali che siano, poco importa) estremamente positivi: la purezza, la semplicità, la lontananza dalle polemiche, dal denaro e dal “business” visto in un’accezione negativa, la vicinanza alla socializzazione e al coinvolgimento a ogni livello. Tuttavia le bollicine d’entusiasmo rischiano di evaporare se non si puntella ulteriormente la struttura e non si fa crescere il movimento. Nel caso del rugby, i risultati sono stati negativi nonostante le enormi opportunità (il coinvolgimento nel Sei Nazioni e nel Pro14). Senza voler fare profeti di sventure, la prospettiva di tornare nell’oblio delle brevi di pagina trentaquattro, quantomeno fino alla prossima competizione mondiale, è il maggior rischio che corrono le ragazze che oggi chiedono “uguali diritti” rispetto ai colleghi uomini. Rugby case study perfetto col trattamento riservato dai media italiani verso Benetton Treviso e Zebre dopo la loro migliore stagione di sempre a spiegare il tutto meglio di tante teorie.

Il Chievo femminile verso Mozzecane

Torniamo a Verona, alle donne e al pallone, dove il Chievo, dopo la chiusura dell’avventura con la Valpo, ha rilanciato immediatamente il proprio coinvolgimento col calcio femminile. «A pochi chilometri a sud, del mio ritorno», per dirla alla Loredana Bertè, il club gialloblù riparte da Mozzecane. La Fortitudo milita in una competizione meno illustre (la serie B) e con budget differenti rispetto al massimo campionato, ma la nomina di Zuccher quale tecnico e la base solida del sodalizio sono elementi da valorizzare nell’ottica di un’operazione in cui, al di là del radicamento nel territorio, le prospettive non mancano.