Come si deve giudicare un film nel quale lo stile ha la meglio sul contenuto? Dipende dallo stile, certo; quello di Cold War è veramente notevole ed è la prima cosa che vi farà notare chiunque dotato di un minimo di senso estetico: fotografia in bianco e nero curatissima, formato cinematografico 4:3 ed inquadrature che vi resteranno impresse nella memoria (anche se sono del tipo «Vorrei che il soggetto ripreso restasse sempre in basso, con tanta “aria” sulla testa per comunicare un senso di smarrimento e di vuoto.»). E poi? Il problema è tutto qui: la pluripremiata pellicola del polacco Pawel Pawlikowski vorrebbe richiamare un certo classico cinema francese alla Godard o alla Truffaut, ma senza preoccuparsi troppo dei dialoghi e affidandosi quasi esclusivamente alle immagini; è un po’ come visitare per 88 minuti una bellissima mostra fotografica con delle striminzite didascalie sotto ad ogni foto: tante affascinanti, algide scene (sottolineate da una subito piacevole e poi ripetitiva colonna sonora) ben costruite per raccontare la tormentata storia d’amore negli anni Cinquanta di due tipi “belli e impossibili” che, dopo solo un quarto d’ora di proiezione, avrei tanto voluto prendere a schiaffoni.

Bello senz’anima quindi? Personalmente non ce l’ha fatta a coinvolgermi: troppo freddo per essere un vero melodramma, narrativamente frammentario ed eccessivamente distaccato per riuscirci, ma forse sono io a non essere così emotivamente sensibile o, molto più facilmente, sono solo un po’ stanco di tutte queste posticce “operazioni nostalgia” che stanno invadendo il Cinema contemporaneo. Però sia chiaro: pur appagando solamente i miei occhi questo è, per me, un motivo più che sufficiente per salvare il film.

In Misterioso omicidio a Manhattan Diane Keaton chiedeva a Woody Allen se davvero gli piacesse Wagner e lui le rispondeva: «Certo, anche se ogni volta che lo sento mi viene voglia di invadere la Polonia!». Chissà cosa direbbe oggi dopo aver visto Cold War.

Voto: 3/5