La vicenda di Yara Gambirasio non smette di essere al centro della pubblica opinione. La narrazione sulla vicenda e sul ruolo di Massimo Bossetti, condannato per l’omicidio della ragazzina bergamasca, prosegue sin dall’inizio sui social media. Ogni tanto emerge anche nei media mainstream quando vi è l’ennesima narrazione allineata con la condanna di Bossetti. Stavolta, invece, la narrazione su questo caso giudiziario cambia di segno. E segna una svolta importante.

Il giudice per le indagini preliminari (Gip) del tribunale di Venezia ha chiesto alla procura lagunare di iscrivere nel registro degli indagati Letizia Ruggeri, pubblica ministera titolare delle indagini sulla morte di Yara Gambirasio. Le accuse nei confronti della magistrata Ruggeri sono assai pesanti: frode processuale e depistaggio. Il gip ha, quindi, contestualmente sollecitato nuove indagini.

Il colpo di scena è arrivato al termine dell’udienza di opposizione all’archiviazione della denuncia presentata dai difensori di Massimo Giuseppe Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio della 13enne di Brembate di Sopra in provincia di Bergamo. La denuncia riguardava i comportamenti del presidente della Corte d’Assise di Bergamo e di una cancelliera.

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Un’immagine da una delle serie tv dedicate al caso di Yara Gambirasio

Tracce sul corpo e scoperta di Ignoto-1

Yara Gambirasio scomparve il 26 novembre del 2010 e fu trovata, tre mesi dopo, morta in un campo. Massimo Bossetti, chiamato dai media “il muratore di Mapello”, fu condannato in via definitiva all’ergastolo nell’ottobre del 2018: alla base dell’accusa (e della sentenza di condanna) l’esame del Dna di Ignoto-1. Ovvero le tracce di Dna trovare sugli indumenti intimi della ragazzina.

Il tema su cui il giudice veneziano chiede una nuova serie di verifiche è legato alla conservazione di 54 reperti con tracce di Dna. Quelle tracce che rappresentarono l’architrave dell’impianto accusatorio a carico di Bossetti. La difesa, guidata dall’avvocato Claudio Salvagni, ha chiesto più volte di poter svolgere in proprio le analisi – con genetisti di fiducia – sul Dna: prima è stato risposto che non vi era materiale sufficiente per nuove analisi; poi nonostante gli abbondanti reperti l’esame è stato negato.

L’aspetto grave della questione – con un limite ai diritti della difesa – è che fu negata una nuova perizia sul Dna (le tracce sul corpo di Yara Gambirasio) già in sede processuale. Tant’è che famigliari della vittima, imputato e tutta la pubblica opinione si sono dovuti accontentare dei risultati scientifici ottenuti dai consulenti e tecnici della Procura della Repubblica di Bergamo, ovvero di una soltanto delle parti in causa.

La decisione negativa della Corte d’Assise di Bergamo, contraria ad altre analisi del Dna, è poi proseguita dopo il processo all’imputato dell’omicidio di Yara Gambirasio. E questo nonostante la Corte di Cassazione abbia in più di un’occasione affermato il diritto della difesa di Massimo Bossetti di svolgere nuovi esami sui reperti. Nel frattempo, i reperti sono stati trasferiti dall’ospedale San Raffaele di Milano ad un ufficio del tribunale di Bergamo. Il trasferimento è durato alcuni giorni e, a detta dei difensori di Massimo Bossetti, potrebbe avere causato un deterioramento delle tracce.

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Yara Gambirasio, a sinistra, e Massimo Giuseppe Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio

Distrutti i reperti alla base della condanna

I 54 residui organici, erano “rimasti regolarmente crio-conservati in una cella frigorifera dell’istituto San Raffaele fino a novembre 2019, quindi oltre un anno dopo il passaggio in giudicato della sentenza della condanna, e solo successivamente confiscati come prevede il Codice di procedura”, ricorda la Procura della Repubblica di Bergamo, che si dichiara “fiduciosa che in sede di indagini emergerà la correttezza dei comportamenti tenuti dalla collega” Letizia Ruggeri.

Dal canto suo l’avvocato Claudio Salvagni, del collegio difensivo di Bossetti, afferma che “i reperti sotto sequestro non possono essere distrutti senza provvedimento di autorizzazione di un giudice. Se qualcuno lo fa commette un reato. Aspettiamo le decisioni del Pm di Venezia. Il gip ci ha detto col proprio provvedimento che purtroppo i campioni di Dna utilizzati proprio per arrivare alla identificazione di Ignoto 1 e poi indispensabili per la condanna di Massimo Bossetti sono stati distrutti. Ora occorre individuare le responsabilità”.

Yara Gambirasio - Massimo Bossetti - ruolo dei media nel caso giudiziario - foto Camilo Jimenez su Unsplash - magazine Heraldo---
Immagine di giornalisti e addetti alla comunicazione durante un servizio per i media

Le narrazioni a senso unico dei media

Sulla vicenda di Yara Gambirasio e sul ruolo di Massimo Bossetti sono state realizzate due serie televisive e un film. In tutti i casi, le narrazioni seguono quanto ha sostenuto la Procura della Repubblica di Bergamo e quanto è stato scritto nelle sentenze che condannano il muratore di Mapello all’ergastolo.

L’ultima serie televisiva s’intitola Sulle tracce dell’assassino. Il caso Yara ha evitato di tematizzare quanto il collegio di difesa di Massimo Bossetti va dicendo da anni, con interventi in sede giudiziaria e con affermazioni rese sui social media. Ovvero che non vi è stato contraddittorio sull’esame delle tracce di Dna trovate sul corpo della vittima. Tant’è che dei vari residui rinvenuti sugli indumenti di Yara, e appartenenti a persone di sesso maschile, è stato preso in considerazione solo la traccia che porta a Ignoto-1.

I media hanno, con molta accuratezza, evitato di porre alcune domande di particolare interesse:

  • come mai i giudici bergamaschi (e poi i giudici degli altri gradi di giudizio) non hanno consentito che le tracce di Dna fossero analizzate anche da esperti della difesa?
  • come mai si sono investiti milioni di euro in oltre 20 mila esami di massa del Dna, per poi arrivare a Ignoto-1 grazie a un prelievo limitato a poche centinaia di casi?
  • C’è una qualche ragione per cui si è tanto investito nell’esame del Dna in un caso soltanto?
  • Non era forse più utile agire con metodo e delimitare gli esami per arrivare, con meno spese, allo stesso risultato?

Giornali, radio e televisioni mainstream si sono ben guardati dall’insistere su questi e altri dubbi che circondano il caso. Fin qui ci può anche stare: l’emozione del momento, il clima di opinione, le ragioni all’apparenza inoppugnabili dell’accusa possono far propendere per una certa linea narrativa. Grave è che sulla stessa linea, senza sollevare alcun dubbio e domanda, si siano mossi anche due serie televisive e un film. In questo modo, la storia sulla morte di Yara Gambirasio, sul ruolo di Massimo Bossetti e sull’esame del Dna ha avuto un’unica e monolitica narrazione. Quella della pubblica accusa.

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