L’emergenza sanitaria per il coronavirus ha ribaltato con forza i suoi effetti sul mondo degli eventi sportivi. Le misure adottate, al fine di contenere la diffusione del virus, hanno portato addirittura all’annullamento dei Giochi Olimpici, l’evento sportivo per eccellenza. Tra le altre, medesima sorte è toccata alla stagione ciclistica, che si è arrestata già dopo le prime corse in calendario nel mese di febbraio. In Arabia, inoltre, l’UAE Tour è stato fermato quando un gruppo di corridori e altri componenti delle squadre sono risultati positivi e messi in quarantena.

Per cercare di salvare una stagione sportiva e, soprattutto, i tanti interessi economici che ruotano attorno a essa, l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI), ha aperto un dialogo con squadre e organizzatori nel tentativo di stilare al più presto un calendario alternativo con le gare più importanti spostate in avanti, in un periodo dove – si spera – le misure di contenimento adottate siano in grado di consentire il loro regolare svolgimento. Il risultato finale di questo lavoro è stato un nuovo calendario 2020 condensato in soli 100 giorni. La partenza, se le misure sanitarie lo consentiranno, è prevista per sabato 1 Agosto. Tutti gli eventi in programma si dovranno disputare in poco più di tre mesi, generando un intasamento generale frutto di una programmazione ultracompressa , con l’inevitabile conseguenza di diverse manifestazioni sovrapposte tra di loro.

Un programma di questo tipo penalizza soprattutto il Giro d’Italia, in questo momento previsto dal 3 al 25 ottobre. La “Corsa Rosa”, vista la vicinanza temporale con il Tour del France, che si disputerà dal 29 Agosto al 20 Settembre, sarà probabilmente costretta a fare a meno di tutti quei campioni che preferiranno partecipare alla Grande Boucle. Non bisogna dimenticare, inoltre, la presenza nello stesso periodo di grandi classiche come Liegi-Bastogne-Liegi (4 ottobre), Giro delle Fiandre (18 ottobre), Parigi-Roubauix (25 ottobre) e Amstel Gold Race e Gent-Wevelgem (10-11 ottobre). Come se tutto questo non bastasse, infine, ecco arrivare la Vuelta, programmata dal 20 ottobre all’8 novembre, giusto qualche giorno prima della fine del Giro.

Davanti a questo calendario, Pier Bergonzi sulle colonne de “La Gazzetta dello Sport” ha commentato «Scelta contro il buon senso e la storia» mentre hanno gridato allo scandalo campioni della bicicletta come Francesco Moser e Mario Cipollini.

I motivi a supporto di una decisione di questo tipo sono diversi. Prima di tutto bisogna ricordare che il Tour de France è senza dubbio l’evento in grado di attirare la stragrande maggioranza degli introiti pubblicitari e televisivi destinati al movimento ciclistico. La sua prepotenza economica è così schiacciante che una sola tappa delle ventuno in programma genera un giro d’affari da solo di gran lunga superiore a quello di una delle grandi classiche. Il confronto con le altre grandi corse a tappe – Giro d’Italia e Vuelta di Spagna – è a dir poco impietoso. Forte della sua supremazia economica, quindi, il Tour ha deciso in totale autonomia la sua nuova collocazione tra il 20 agosto e il 20 settembre, con l’UCI che si è limitata a prenderne atto, avvallando la richiesta e lasciando solo le briciole agli altri pretendenti. Un altro elemento importante riguarda anche la società organizzatrice della corsa a tappe francese, la ASO, che oltre al Tour organizza anche la Vuelta di Spagna e altre classiche. Si tratta nella fattispecie di un partner imprescindibile per l’UCI, visto che di fatto controlla la maggior parte delle risorse economiche che ruotano attorno al mondo del ciclismo. Fonti non ufficiali apparse sulla stampa sportiva raccontano che una volta sistemato il calendario del Tour, l’idea era quella di ridurre a due settimane la durata delle altre due importanti corse a tappe, con l’obiettivo di evitare sovrapposizioni sicuramente indigeste. La RCS Sport, società che organizza il Giro, si sarebbe rifiutata di avallare questa ipotesi considerando il fatto che una decisione di questo tipo, dopo aver perso la partenza programmata da Budapest, avrebbe comportato anche la perdita di un fine settimana di gare, dove è maggiore la presenza di appassionati e dove la corsa gode di maggior visibilità. Il mantenimento delle tre settimane per entrambe, ha comportato la loro inevitabile parziale sovrapposizione mentre ha risparmiato le grandi classiche del Nord Europa. Gli organizzatori – in primis la ASO – volevano evitare la contemporaneità con il Tour, evitando anche di correre in un periodo in cui il clima rigido del Nord Europa avrebbe potuto mettere a forte rischio il regolare svolgimento delle corse. In tutto questo il prezzo più alto sarà probabilmente pagato dal Giro d’Italia. Squadre e corridori, infatti, si stanno organizzando per partecipare al Tour che, oltre a rappresentare la vetrina più importante, garantisce anche una seconda chance a novembre in Spagna, dopo un periodo di riposo che coincide proprio con il Giro.

Alla fine, il rischio concreto è che la corsa nazionale vedrà molto probabilmente la partecipazione di molti corridori di secondo piano provocando uno smacco non indifferente nei confronti del ciclismo italiano, della sua storia e della sua tradizione. Le logiche seguite dall’UCI, dagli organizzatori e dalle squadre hanno visto, quindi, prevalere gli aspetti economici rispetto a tutto il resto.

La considerazione finale riguarda il comportamento adottato dalla RCS Sport che, pur avendo dichiarato in pubblico come i propri suggerimenti di calendario non siano stati presi in considerazione, non ha assunto una ferma posizione davanti a tali scelte. Diventa difficile comprendere tutto ciò. L’accettazione di un ruolo minore per il Giro potrebbe essere legata all’inserimento in cambio di altre corse come “Le Strade Bianche”, che dovrebbero aprire la nuova stagione, oppure al sospetto che per gli organizzatori, un giro di tre settimane, seppur annacquato nei suoi contenuti sportivi, sia in grado di garantire un maggior ritorno economico (più ore di diretta tv, maggior esposizione sugli organi di stampa) rispetto a una corsa a tappe suddivisa in meno giorni. L’impressione generale è quella che a tutti, Federazioni, organizzatori, squadre, sponsor e corridori, alla fine convenga accordarsi su un calendario che garantisca il più alto ritorno economico possibile, considerando soprattutto anche la crisi generata dall’epidemia di coronavirus. Se questo, poi, lo si faccia in barba ai valori sportivi, alla cultura ciclistica, ai contenuti agonistici e soprattutto agli appassionati, importa probabilmente molto meno. Laddove servisse, siamo di fronte alla prova che oggi il ciclismo è un business a tutti gli effetti e che il nuovo calendario 2020 sia stato concepito con il principale intento di minimizzare il danno economico, come si fa in tutte le crisi aziendali che si rispettino.