Ecco, ci siamo. Dopo quasi due mesi di isolamento, domani si passa (forse) alla fase 2. Conte dixit, pur senza precisare su che scala di grandezza, così che queste riaperture graduali misurate su una scala normale sembrano più una roba tipo 1,33 periodico col resto di due. Sia chiaro, non ti stai lamentando. E questo perché: a. i dati sono (ancora) allucinanti, anche se ci stiamo cinicamente quasi abituando, b. mica sei proprio sicura sicura di aver così tanta fretta di tornare a vedere di persona le facce di alcuni tuoi colleghi, e c. sei una convinta assertrice del fatto che quando uno non sa un c***o “esiste il silenzio” (cit. Zerocalcare), ascolta chi ne sa più di lui e spera costui c’abbia ragione e faccia per il meglio. Che in questo caso mica si sa ancora bene quale sia, perché detta cinicamente qui si tratta di decidere quante vite possiamo permetterci prima di andare in bancarotta o viceversa quanta bancarotta possiamo permetterci per salvare delle vite. 

‘Na scelta semplice, quindi. Di fronte alla quale, per limitare al massimo i danni relativamente a uno dei due fattori o se possibile a entrambi si chiede la collaborazione di tutti, “uniti pure se distanti”. Anche questa, ‘na cosa semplice. Suona complicata già a sentirla, come ben sa chiunque abbia avuto almeno una relazione a distanza, che alla fine non funziona perché devi decidere se vuoi essere più unito o restare distante o funziona perché l’unione supera la distanza o, parimenti, perché è la distanza che permette un’unione altrimenti spacciata. In ogni caso, perché questa relazione funzioni servono un pacco di soldi in più che a quelle normali – due case, più viaggi, più spese, ecc. –, come per l’istanza collettiva “uniti anche se distanti” in tempo di Covid-19. Si sa, le finezze linguistico-(quasi) ossimoriche hanno bisogno di cure speciali. Un po’ come il basilico. Che muore se lo innaffi tanto, muore se lo innaffi poco, vive (ancora) solo per disturbare uno che ha provato tutte le combinazioni casuali possibili – innaffio tanto solo alle 6.25 di mattina così non si brucia, innaffio poco ogni 4 ore, innaffio medio ogni 7, innaffio boh, innaffio jamme. 

Comunque. L’attuale situazione di unione nella distanza dev’essere parecchio grave. Perché oltre ai (legittimi) appelli istituzional-governativi alla vicinanza/empatia/solidarietà anche Zuckerberg ha sentito il bisogno di concretizzare il concetto. Da qualche giorno, gli utenti Facebook possono esprimere una (distante perché virtuale) prossimità con modalità nuove: con espressione prima un po’ malinconica e dopo un secondo consolatoria, quella che in questi tempi di “volemose bene tutti” dovrebbe diventare la madre di tutte le faccine “abbraccia” un cuore. Stritolandolo (parrebbe a prima vista), a riprova del fatto che i due metri di distanza hanno eccome il loro perché, e non solo dal punto di vista virologico. Bella eh, la-madre-di-tutte-le-faccine. Finemente, impercettibilmente simbolica. Ispirante. Pure didattica, a suo modo. In modo subliminale, a te fa pensare alla doxa corrente secondo cui puoi stritolare solo i congiunti e/o gli affetti stabili – quelli per cui batte forte forte il tuo piccolo cuore di Swaroski. Anche perché gli altri, se ci provi, come minimo ti denunciano. 

Sì, perché se tutte le relazioni sono uguali, alcune sono più uguali di altre. Le altre meritano il girone della distanza (unita, però), in quest’Italia del XXI secolo in cui la cellula base della società ordinata è ancora la famiglia. Intesa in senso tradizionale, pure se bontà loro si accettano anche i fidanzati/e. Così che puoi andare a trovare tuo nonno a cui vuoi tanto bene (madre-di-tutte-le-faccine-jamme), ma non l’amico/a del cuore che hai chiamato da 15 anni a questa parte per qualsiasi cosa, dalla stronzata alla fine dell’amore della tua vita, o il/la tizio/a che sta(vi) vedendo da qualche mese – stritolarlo/a così d’imperio ti pare un po’ prematuro, o magari non ce n’hai manco voglia, madre-di-tute-le-faccine aspetta un attimo eh – o magari uno/a così, perché parafrasando un tuo amico di solito ben più elegante, “uno/a potrà andare in fabbrica ma non a trombare”. In ‘sti tempi di crisi la famiglia tradizionale pare insomma non solo più uguale delle altre, ma anche in gran spolvero e forma.

Questo anche se consideriamo i risultati di un’intervista pubblicata recentemente sul Corriere, secondo cui il 63% delle donne e il 71% degli uomini intervistati pensano che “un lavoro è importante ma quello che le donne vogliono veramente è una casa e dei figli”, il 14% delle donne e il 29% degli uomini è d’accordo sul fatto che “una madre che lavora può stabilire una relazione sicura e intensa con suo figlio tanto quanto una madre che non lavora” e, dulcis in fundo, il 36% degli intervistati è d’accordo sul fatto che “In presenza di figli piccoli è sempre meglio che il marito lavori e la moglie resti a casa a curare i figli”. Il 33 % non lo è, d’accordo, e il 31% “non sa”. 

Ora. Questo 31% tu lo capisci profondamente, perché anche tu “non sai”. Tra “congiunti” – termine che non sentivi dalla tua terza precedente reincarnazione –, “affetti stabili” e “quello che vogliono veramente le donne”, anche tu sei confusa. Sai che oggi è il 3 maggio anche perché domani è il 4, che tutti aspettiamo quanto e più della pizza ordinata alle 10 di sera, ma di quale anno ti risulta un po’ più incerto. Oppure, e anche questo è possibile, senza che tu te ne sia accorta, la droga è stata legalizzata e scorre comunemente nelle case di tutti, cosa che dovresti in effetti sapere visto che sei una fan di Narcos, che hai visto tipo tre volte. E sono ben 3 serie, tolto Narcos Messico che invece ti piace meno. 

Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!

Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,

tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri, CommediaInferno, Canto I